Neofascisti, si progettava una base in città

Dagli atti spuntano le intenzioni del gruppo eversivo. Gasparri: «Da mettere in manicomio»

L’AQUILA. La presenza di due aquilani nel gruppo eversivo neofascista disarticolato dai Ros dei carabinieri poteva portare all’individuazione di una sede all’Aquila. Una base dove svolgere incontri con finalità culturali e chissà che altro. Lo si arguisce da alcune conversazioni intercettate dai militari da cui gli investigatori hanno tratto le loro conclusioni.

Dalle carte emerge, infatti, che i sospettati avevano svolto delle riunioni a Milano per la creazione di un centro culturale. Un’altra riunione si era tenuta a Legnano, alla quale avevano partecipato anche gli indagati aquilani Piero Mastrantonio e Monica Malandra. Negli atti si osserva della possibile replica di tali eventi all’Aquila dove reperire una struttura adatta alla riunione, un posto in aperta montagna dove poter organizzare un campo hobbit «mascherato da campo culturale per fare altre cose». Cosa possa significare «altre cose» lo dovranno spiegare i sospettati. Luca Infantino, altro sospettato del gruppo neofascista, aveva accolto positivamente l’interessamento e la disponibilità della coppia aquilana, residente nel Piano Case di Collebrincioni prima di finire in cella (lui) e ai domiciliari (lei). Anche perché la donna deve accudire il figlio minorenne.

L’inchiesta, denominata «Aquila nera», vista la risonanza che ha avuto, è stata al centro di una serie di commenti. In un tweetdi risposta al giallista Carlo Lucarelli, che parla di una forma di eversione da prendere sul serio, il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri afferma «leggete la costituzione delirio che avevano scritto... da mettere in apposito manicomio».

Intanto, nella giornata di oggi, a meno di possibili colpi di scena, ci dovrebbe essere l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di uno dei 44 sospettati. Si tratta del lancianese Luigi Di Menno Di Bucchianico, di 47 anni.

Il giudice ha evitato per lui il carcere mandandolo ai domiciliari «per avere avuto una partecipazione minore rispetto a quella degli altri correi».

Finora gli indagati hanno scelto di non rispondere al giudice oppure hanno minimizzato parlando di «spacconate» o di frasi su Facebook scritte senza consapevolezza.

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