«Non sapevo di parlare con affiliati ai clan»

L'imprenditore Biasini in manette davanti al giudice si difende

L'AQUILA. Stefano Biasini e Massimo Maria Valenti, arrestati nell'ambito dell'inchiesta sulle infiltrazioni della'ndrangheta nella ricostruzione dell'Aquila, sono comparsi ieri davanti al gip Marco Billi e al pm Fabio Picuti. Nessuno dei due si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma l'interrogatorio di Valenti è comunque saltato. L'uomo, invalido al 100%, è arrivato in tribunale in ambulanza e in condizioni tali da non poter rispondere alle domande del pm e del giudice per le indagini preliminari. Un quadro clinico grave, tanto da spingere il magistrato a concedere subito a Valenti, difeso dall'avvocato Amedeo Ciuffetelli, il ritorno ai domiciliari dove l'indagato si trovava al momento dell'arresto, perché coinvolto in un'altra vicenda giudiziaria. È stata poi la volta dell'imprenditore aquilano Stefano Biasini.

Alle 11.30, circondato dagli agenti della polizia penitenziaria, il 34enne - che ha invano cercato di sfuggire alle telecamere e ai flash dei fotografi coprendosi la testa con il giaccone - è stato condotto in manette davanti al giudice Marco Billi. Ad attenderlo anche il pm Fabio Picuti e gli avvocati difensori Attilio Cecchini e Vincenzo Salvi. Un interrogatorio andato avanti per circa due ore. Tante le domande formulate dai magistrati e alle quali - secondo gli avvocati Cecchini e Salvi - l'indagato non si sarebbe in alcun modo sottratto. Biasini avrebbe, anzi, ribadito la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati e che lo hanno condotto, dopo circa due anni di indagini, all'arresto (insieme a Massimo Maria Valenti, Antonino Vincenzo Valenti e Francesco Ielo) con l'accusa di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.


In merito ai lavori di ristrutturazione degli immobili danneggiati dal sisma, finiti nel mirino della magistratura aquilana, Biasini avrebbe spiegato che tali opere sarebbero state eseguite esclusivamente dalla sua società e che ai presunti soci in affari affiliati alla'ndrangheta avrebbe riservato solo l'ultimazione di un marciapiede della propria abitazione privata. Secondo quanto riferito dai due legali, l'indagato avrebbe confermato - per quel che riguarda i rapporti di conoscenza con i presunti affiliati alla cosca mafiosa dei Caridi e Zindato - «ciò che è emerso dalle tantissime intercettazioni telefoniche in mano agli investigatori del Gico della Finanza e dello Sco della questura e inserite nella voluminosa ordinanza di custodia cautelare. Ovvero che tali rapporti sono stati troncati oltre un anno fa».

«Biasini ha risposto dettagliatamente a tutte le domande» ha affermato l'avvocato Cecchini «e ha ribadito di non aver mai saputo, se non quando il caso è esploso, di essere stato contattato da personaggi affiliati alle cosche calabresi». I difensori dell'imprenditore aquilano hanno chiesto la revoca della misura cautelare e in subordine i domiciliari. Una richiesta che non ha trovato d'accordo il pm Picuti, secondo cui per Biasini va confermata la detenzione in carcere anche per verificare la corrispondenza con le dichiarazioni rese durante l'interrogatorio. La decisione del gip è, comunque, annunciata prima di Natale, così come chiarito da Cecchini.

Al termine dell'interrogatorio, Biasini si è trattenuto per alcuni minuti con i suoi legali che gli hanno raccomandato di restare tranquillo e di annotare su un quaderno ogni ricordo, ogni cosa utile a chiarire la sua posizione in merito alle intercettazioni oggetto dell'inchiesta. Le indagini che hanno portato all'arresto di Biasini, dei Valenti e di Ielo, sono durate circa due anni e hanno evidenziato il forte interessamento degli esponenti della cosca reggina ai lavori di ricostruzione degli immobili da parte dei privati, nel cui ambito non è prevista alcuna procedura a evidenza pubblica nè alcuna certificazione antimafia per l'impresa scelta per l'esecuzione dei lavori.

Gli appalti ai quali le società in odore di'ndrangheta avevano partecipato sono due, con un fatturato complessivo di circa 200 mila euro perché relativi a case con danni lievi. Le indagini della finanza e della questura, coordinate dal procuratore Alfredo Rossini, si sono avvalse di centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché di fotografie che documentano le fasi preliminari di un incontro, tra gli arrestati e alcuni componenti della cosca reggina, avvenuto a maggio del 2010 in un albergo dell'Aquila. (m.m.)

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