Nuove ombre sul delitto del Morrone

Sopralluogo del procuratore Bellelli nel bosco di Mandra Castrata dove furono uccise le giovani turiste Diana e Tamara

SULMONA. «Al momento non ci sono elementi tali da giustificare la riapertura del caso. Ma nella vita non bisogna mai dire mai». Sono le parole con le quali il procuratore della Repubblica di Sulmona Giuseppe Bellelli ha commentato il sopralluogo effettuato nel bosco di Mandra Castrata, dove nell’agosto del 1997 furono assassinate due ragazze. Una tragica vicenda che colpì l’Italia intera, forse troppo frettolosamente “archiviata” con la condanna all’ergastolo del responsabile. Una storia che forse nasconde ancora tanti interrogativi rimasti senza risposta. Nuove ombre che la giornalista Maria Grazia Trozzi ha messo in evidenza nel libro “Il sentiero delle signore”. Un libro che ripercorre la vicenda analizzando nel dettaglio le indagini e gli atti processuali della tragica storia che ha colpito anche il procuratore Bellelli. Tanto che sabato scorso il magistrato, accompagnato dal sostituto procuratore Aura Scarsella che all’epoca si occupò della vicenda, e da alcuni uomini della Forestale, ha voluto visitare quei luoghi dove un pastore macedone uccise a colpi di pistola due giovani turiste venete, Diana Olivetti e Tamara Gobbo ferendone gravemente una terza, Silvia, sorella di Diana, riuscita poi a fuggire e a dare l’allarme. «Ho voluto rendermi conto di persona dei luoghi scenario di un massacro che all’epoca colpì molto anche me», spiega Bellelli. «L’ho fatto ora che sono qui a Sulmona, per un accrescimento professionale e per conoscere meglio il luogo in cui è avvenuta la tragedia». E non è escluso, come ipotizza anche il capo della Procura, che si possa arrivare a una clamorosa riapertura del caso anche sulla base degli elementi evidenziati nel libro della Trozzi. Interrogativi che Bellelli vuole chiarire. Vuole far luce soprattutto sull’ipotesi che insieme al macedone Alivebi Hasani, il 20 agosto del 1997, vi fosse anche un’altra persona che fu testimone del massacro. Persona che potrebbe avere avuto un ruolo fondamentale nella vicenda armando la mano assassina del pastore. C’è poi il mistero della quarta pistola fantasma, quello della fotocamera delle sorelle Olivetti, con il rullino pieno di immagini da sviluppare che non è stata mai ritrovata. Così come i bossoli e le ogive dei proiettili esplosi da Hasani e ritrovati quasi un anno dopo.

«A primavera del ’98 sul sentiero delle Signore un poliziotto calpesta proprio un’ogiva, finita sotto la sua scarpa», scrive la Trozzi nel suo libro, «e, appena dopo, gli investigatori recuperano anche un bossolo. Grumi di metallo che per mesi il manto nevoso nasconde, temporali e piogge lavano, sfuggono ai sopralluoghi e ai controlli, con il metal detector, della scientifica eseguiti nella fitta boscaglia a settembre e ottobre del 1997».

In quell’occasione viene individuato anche un foro su un albero non distante dalle giovani assassinate, ma quando i carabinieri fanno tagliare il pezzo di faggio per controllare se vi fosse il proiettile, nel buco del tronchetto di legno non c’è nulla. Dagli atti processuali e dalle indagini è emerso che quel tragico giorno furono almeno tre i colpi sparati contro le ragazze. «Alle spalle di Diana Olivetti due tronchi, niente buchi sul legno, la giovane viene ammazzata mentre si solleva da terra e il suo corpo poggia sulle radici del faggio», scrive ancora la Trozzi, «ha solo le scarpe ai piedi. Di fronte sta il suo assassino e dell’altro mascalzone, segnalato in una dichiarazione di Alfio Olivetti ai giornalisti, non si sa davvero più nulla. Appena prima Tamara Gobbo si accascia al suolo gravemente ferita. Sangue sul terreno? No, la terra ingoia tutto, resta un fazzoletto da uomo sulla ferita della ventenne». È questo il passaggio, insieme a quello delle tre pistole e della quarta mancante, che ha catturato maggiormente l’attenzione del procuratore Bellelli. Ombre su cui il magistrato vuole ora far luce.

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