Palazzo del governo a terra Così crollò il centro operativo 

La prefettura doveva essere il posto più sicuro della città dal quale organizzare e coordinare i soccorsi E invece la struttura fu messa fuori uso e riorganizzata nel giro di poche ore nella scuola della Finanza

L’AQUILA. Il 17 marzo 2009 il rappresentante del governo all’Aquila, il dottor Aurelio Cozzani, saluta la città. Dal 30 marzo sarebbe andato in pensione. La cerimonia si svolse in prefettura, nella sala dove si tenevano anche i consigli provinciali. In quella sala c’erano due dipinti di Teofilo Patini (nato a Castel di Sangro nel 1840 e morto a Napoli nel 1906) “Bestie da soma” e “Pulsazioni e palpiti”. Il 22 aprile 2009 la presidente Stefania Pezzopane annunciò che le preziose opere d’arte si erano salvate. Dalle foto, scattate probabilmente dai vigili del fuoco, si vedono i banchi dei consiglieri coperti di polvere. Da un ampio squarcio sopra l’ingresso si poteva “guardare” il cielo. La scritta “Palazzo del governo” spezzata e resa sbilenca dalla scossa delle 3,32 fu una delle immagini simbolo dei primi giorni del post-sisma.
POSTO SICURO. Quello, la prefettura, doveva essere il posto più sicuro della città dal quale organizzare e coordinare i soccorsi e invece crollò miseramente. Il centro operativo fu organizzato nel giro di qualche ora nella scuola della Guardia di Finanza nei pressi di Coppito, l’unica struttura pubblica che non aveva praticamente subìto danni. La scuola era stata inaugurata nel 1992 ed è intitolata a Vincenzo Giudice. È sede per la formazione di sovrintendenti e ispettori delle Fiamme Gialle.
SOLDI. La cronaca del 18 marzo parlava anche della Carispaq (la storica banca cittadina che nel 2013 sarà inglobata dalla Bper) che aveva reso noto il bilancio del 2008. Il direttore Rinaldo Tordera e il presidente Antonio Battaglia si erano detti soddisfatti dall’andamento dei conti “nonostante la crisi”. In un articolo breve (forse la notizia era giunta a tardissima ora) si riferiva pure del fatto che era arrivato il no definitivo del ministero dei beni culturali al passaggio della metropolitana in via Roma. Inoltre, di lì a un mese sarebbero partiti i lavori di rifacimento della pavimentazione di piazza Duomo che negli anni si era rovinata parecchio a causa del mercato giornaliero e del fatto che la movimentazione di mezzi, soprattutto nella zona perimetrale, in qualche punto aveva creato buchi pericolosi, oltre che brutti da vedere. Per fare i lavori il mercato sarebbe stato spostato lungo corso Federico II e su corso Vittorio Emanuele fino ai Quattro cantoni. Inoltre ad aprile sarebbe dovuto partire, se pur in via sperimentale, un mercato ambulante nella zona di Pettino. Il terremoto naturalmente annullò tutti i progetti e lo storico mercato di Piazza Duomo è ancora localizzato a piazza d’Armi pur fra ripetuti – e simbolici – tentativi di riportarne almeno una piccola parte nella sede originaria. Sul Centro del 18 marzo 2009 c’era una riflessione di un imprenditore aquilano, Luciano Ardingo, il quale suggeriva la creazione di un’area metropolitana per attrarre le industrie. «L’Aquila è stata negli anni la capitale industriale della Regione. Oggi rappresenta un’area in declino, siamo in un territorio industrialmente sottosviluppato e depresso che non ha fatto nulla per innovare ed evolvere il tessuto industriale. L’Aquila», scriveva Ardingo, «si è crogiolata per troppo tempo nel suo passato e non è riuscita nella missione che il suo ruolo gli aveva assegnato: quella di governare industrialmente l’Abruzzo. Si è sfinita nei suoi problemi quotidiani, dimenticando di alzare la testa per vedere quello che accadeva al di fuori delle sue mura. L’arroccamento nelle miopi politiche campanilistiche ha contribuito a isolarla ulteriormente. Il territorio oggi ha bisogno della nascita di un’area metropolitana, capace di creare un tessuto industriale fondato sulle nuove professionalità per allargare la base di selezione e rovesciare la piramide posta alla base del nuovo capitalismo. In sintesi fare quello che fanno Paesi sviluppati come Usa, Nuova Zelanda e Svezia, che conservano e aumentano la conoscenza». L’analisi dell’imprenditore, pubblicata pochi giorni prima del terremoto, chiarisce anche perché tutti i tentativi fatti per il rilancio dell’economia locale negli anni del post-sisma finora non hanno dato i risultati sperati. In realtà si è continuato con la solita politica semi-clientelare di dare un po’ di soldi pubblici a quasi tutti – tanto per tirare a campare – cosa che non ha creato i posti di lavoro attesi (spesso più che a investire, i fondi sono serviti a pagare i debiti pregressi) anche se tutto è stato fatto in nome di una progettualità che dovrebbe assicurare alla città un futuro luminoso. Ardingo chiedeva una rivisitazione del ruolo dell’Aquila in campo regionale in modo da farla tornare capoluogo di fatto e non solo di princìpi. Invece – ancora oggi – ci si azzuffa su qualche ufficio pubblico che rischia di essere trasferito a Pescara. E così la vita continua. Col profilo più basso possibile.
LA SCUOLA. Sempre il Centro, a metà marzo, dà notizia delle iscrizioni a scuola. In testa per preferenza c’è il Liceo Scientifico seguito da Itis e Liceo Classico. In quei giorni “cade” la festa dei cento giorni alla maturità. Le foto mostrano ragazzi contenti che si sbizzarriscono in iniziative di vario genere. Allora non potevano sapere che gli esami di maturità quell’anno si sarebbero svolti in condizioni difficilissime: sotto le tende o addirittura in sedi fuori città. E c’è chi dovette piangere anche la morte sotto le macerie di giovani colleghi. Le scuole vennero quasi tutte riaperte a settembre-ottobre 2009 grazie alla costruzione dei Musp (Moduli a uso scolastico provvisorio). Quello fu uno sforzo importante che la Protezione civile fece. Non riaprire le scuole all’Aquila poteva significare la desertificazione della città. L’aver realizzato in tempi record i Musp smentisce platealmente chi ancora oggi è convinto che il governo dell’epoca volesse svuotare per sempre il capoluogo. Sulle scelte fatte in quei mesi si può discutere a lungo ed essere anche molto critici e duri. Sulle scuole, però, i fatti parlano da soli. Quello invece che forse nessuno, all’epoca, immaginava, è che dopo dieci anni anche i bambini nati dopo il sisma sono costretti a frequentare gli “edifici di plastica” come sono stati spesso definiti. E qui forse la storia, in occasione del Centenario (nel 2109), chiarirà chi in 120 mesi non è riuscito a rifare nemmeno un edificio scolastico in muratura. E magari qualche anziano alle soglie dei cento anni sarà “inseguito” dalla stampa per raccontare quella esperienza di figlio o figlia del terremoto.
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