Pescara, parto nel bagno dell'ospedalemuore anche il secondo gemello

Il bimbo, prematuro, non ha superato una crisi respiratoria. La tragedia a tre giorni dalla morte del fratellino. I due gemelli sono stati partoriti nel bagno dell'ospedale Spirito Santo. Indagati medici e ostetriche. La famiglia: non c'era il campanello per chiedere aiuto

PESCARA. Dopo tre giorni dalla scomparsa del fratellino, anche il secondo gemellino partorito dalla madre in un bagno dell'ospedale di Pescara non ce l'ha fatta. Il piccolo, nato prematuro, è morto questa notte nel reparto di neonatologia dell'ospedale Spirito Santo dove era ricoverato in terapia intensiva. Il neonato non è riuscito a superare una crisi respiratoria.

Sulla vicenda la procura di Pescara ha aperto un'inchiesta che è stata affidata al sostituto procuratore Anna Rita Mantini. L'inchiesta è scattata a seguito della denucia presentata dalla famiglia coinvolta, residente a Sulmona. E il primo provvedimento è stato quello di disporre l'autopsia sul neonato deceduto deceduto tre giorni fa. L'esame è stato richiesto anche per il secondo neonato morto. L'incarico sarà affidato all'anatomopatologo Ildo Polidoro.

Sempre ieri è stato notificato l'avviso di garanzia a sei tra medici, ostetriche e infermierei che hanno tenuto in cura la donna nel corso della sua permanenza nell'ospedale di Pescara: per tutti l'ipotesi d'accusa è omicidio colpo. L'avviso di garanzia è per il momento un atto dovuto per dare agli indagati la possibilità di nominare un proprio esperto per assistere all'autopsia, in quanto atto «irripetibile» e alle altre operazioni peritali che saranno effettuate in questa fase dell'inchiesta.

Nel frattempo, sono emersi altri particolari sui drammatici momenti che hanno portato alla morte del gemellino. Situazioni e comportamenti dei medici e del personale in servizio riportati nelle due denunce consegnate dai genitori al commissariato di Sulmona e poi trasmesse alla questura di Pescara competente per territorio. La donna, secondo quanto riferisce l'avvocato della famiglia Alessandro Scelli, sarebbe stata ricoverata nel reparto di ostetricia in una stanza con sei posti letto invece dei cinque previsti.

«Una stanza», sottolinea il legale, «senza campanello d'allarme e con difficoltà da parte delle puerpere ricoverate, di comunicare con il personale in servizio. La mia assistita, che si trovava al sesto mese di una gravidanza gemellare», aggiunge Scelli, «era stata ricoverata dopo aver avuto delle minacce d'aborto e nel corso della degenza è stata autorizzata dai medici a recarsi al bagno in caso di necessità».

Ed è proprio mentre era in bagno che la donna è stata colta da forti dolori addominali. «È stata lesta a capire che stava accadendo qualcosa», prosegue l'avvocato, «e si è immediatamente distesa sul pavimento, poi ha chiesto aiuto».

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