Porta Barete, residenti infuriati 

La protesta: «A otto anni dal terremoto ancora non siamo tornati nelle nostre abitazioni» 

L’AQUILA. Hanno accettato la permuta della propria abitazione con altri appartamenti pervenuti al patrimonio comunale, per consentire la valorizzazione archeologica dell’area sulla quale insisteva il palazzo. A distanza di anni, tuttavia, la loro disponibilità e la sensibilità mostrata verso la città e la sua storia, sono stati ripagati con una serie incredibile di lungaggini burocratiche, ritardi e inefficienze, tali da impedire loro di poter tornare a casa. Sono alcuni degli inquilini del famoso stabile al civico 207, in via Roma, danneggiato dal terremoto del 2009 in maniera tanto grave da deciderne la demolizione. Per la sua ricostruzione erano stati stanziati 5 milioni e mezzo di euro. Durante i lavori di scavo delle nuove fondamenta, quando erano già stati spesi 1,3 milioni, erano venuti fuori dei reperti archeologici che la Soprintendenza aveva ritenuto meritevoli di tutela, apponendo un vincolo sull’area di Porta Barete. E ora queste famiglie, a otto anni dal sisma, sono ancora in giro per l’Abruzzo, in attesa di ricevere le chiavi della casa che hanno accettato a titolo di permuta. Su di loro si sono scatenate anche le novità legislative nella Finanziaria del 2015, che prevede anche la tassazione al 9%. Soltanto il 27 gennaio di quest’anno dal Comune hanno pensato di chiedere un parere all’Agenzia delle Entrate per dirimere la questione, ma i condòmini sono in attesa che il settore Patrimonio determini la procedura per quantificare gli eventuali conguagli. L’altra faccia della medaglia è la storia che vivono i condòmini di via Roma 207 e Santa Croce, che non hanno chiesto la permuta, che si sono battuti per ricostruire le case dov’erano, e che alla fine hanno dovuto accettare la delocalizzazione. Anche loro sono in attesa di poter tornare a casa. «Il Piano di Porta Barete approvato nel 2016», scrivono, «significa spendere milioni senza neppure venire a vedere di che si parla, dove sono le mura, quelle vere, e che cosa si sta pensando di tutelare, in un’area che resterà come è, immersa nel traffico, soffocata da rotatorie, strade e centri commerciali. Fare campagna elettorale su questa pianificazione dimostra l’insensibilità dell’amministrazione Cialente-Di Stefano di fronte alla situazione dei concittadini sfollati dai loro Piani, non dal sisma. L’amministrazione pianifica di diradare. Ma il modo con cui lo fa è, di fatto, l’eliminazione dei residenti. Inspiegabilmente, si continua a guardare solo da una parte, ma nessuno volge lo sguardo intorno, sulle mura, sui supermercati, sulla chiesa, sui centri commerciali, sui conventi sepolti che stanno di fronte e di lato, nello stesso quadrilatero finito per metà nel mirino. La scelta è tra essere deportati o morire fuori casa per le lungaggini di questa pianificazione, senza tempi né soldi. Restituiteci le nostre case», concludono.
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