Promesse a vuoto, lo sfollato ci riprova

Sordini torna sul balcone del suo appartamento e minaccia di nuovo il suicidio contro le maxibollette del Progetto Case

L’AQUILA. Si aspettava almeno il ritorno dell’acqua, e quando ieri mattina si è accorto che il rubinetto era ancora a secco, la disperazione ha di nuovo preso il sopravvento ed è tornato sul balcone minacciando di buttarsi di sotto. Carlo Sordini, 40 anni, invalido civile, ieri mattina ha scavalcato di nuovo la ringhiera del balcone al secondo piano della palazzina di Cese di Preturo, e ha ripreso la sua protesta contro le maxi-bollette del Progetto Case. In bilico sul cornicione, l’esile figura di Carlo ha richiamato ben presto l’attenzione degli altri sfollati che da anni hanno trovato una sistemazione negli alloggi provvisori. «Guarda», dice Carlo, mentre ti fissa con gli occhi buoni e tristi, e apre il rubinetto che resta desolatamente muto, «sono ancora a secco». La sua storia racconta di una vita a ostacoli, e una battaglia quotidiana con quattro patologie importanti per le quali gli è stata riconosciuta un’invalidità del 75%. «Una percentuale», racconta, «che non mi dà neanche diritto alla tessera per viaggiare gratis. Sto cercando un lavoro», aggiunge, e mostra un foglio del Centro per l’impiego, «ma non si trova nulla, e con i 259 euro al mese che prendo non riesco neanche a pagare le medicine per il diabete. Prima me le davano gratis, ora dicono che sono migliorato e quindi non mi spettano più. Eppure, devo fare ogni giorno la terapia con l’insulina. E oltre tutto devo anche sottostare a periodici controlli per stabilire se ho ancora diritto a percepire la pensione di invalidità. Come se, da un giorno all’altro, tutti i miei problemi potessero risolversi». A scatenare la rabbia dell’uomo la nuova bolletta da 800 euro che gli ha inviato il Comune, dopo che faticosamente, a rate da 31 euro, era riuscito a onorare quella precedente. «Ora sono esausto, non ce la faccio più a pagare», aggiunge, «e sinceramente mi aspettavo un segnale da parte del Comune. Invece niente. Ero convinto che dopo la telefonata del sindaco mi avrebbero almeno rimesso l’acqua». Al capo di gabinetto di Massimo Cialente, accorso sul posto, Sordini ha chiesto ripetutamente di contattare il sindaco e chiedergli per quale ragione il suo rubinetto fosse ancora a secco. Dopo una lunga trattativa l’uomo è sceso, ma a Cese di Preturo anche ieri mattina sono tornati i carabinieri, il 118 e i vigili del fuoco con la scala. «Ha ragione», dicono altri abitanti della zona, «non se ne può più. Se ci avessero detto all’inizio che le condizioni per stare al Progetto Case erano queste, avremmo scelto altre soluzioni, come il contributo per l’autonoma sistemazione. Invece, ci ritroviamo qui, in balìa dei metri quadri e degli algoritmi che stabiliscono per noi quanto dobbiamo spendere per riscaldarci e lavarci». Sotto gli edifici, in quelli che dovrebbero essere i giardinetti, solo erba secca, rifiuti maleodoranti, escrementi di animali. Sulle scale, invece, sporcizia ovunque. E pensare, dicono i “condomini”, «che paghiamo circa 40 euro per le pulizie che vengono fatte una volta al mese, quando va bene». Di lato alla palazzina ci sono i nastri rossi a delimitare un’area con la pavimentazione dissestata, e poco più in là, in linea d’aria, le palazzine sgomberate per il crollo dei balconi.

«Non è solo un problema di bollette», dice un giovane che vive in una delle palazzine. «Qui ci sono persone che non sanno veramente di che vivere, e di questo qualcuno se ne dovrebbe fare carico». Ci sono anziani che non riescono neanche ad acquistare del cibo, racconta, ai quali soltanto la solidarietà dei vicini di casa riesce a rendere meno faticosa un’esistenza ai limiti della disperazione. E questa è l’altra faccia dell’Aquila che rinasce, fatta di un popolo silenzioso, invisibile, di disoccupati, ragazze madri senza lavoro, padri separati, anziani soli che vivono con la pensione sociale, un esercito che ogni giorno di più ingrossa le sue fila, e che di rado alza la voce.

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