«Quella notte non si mosse Poteva salvarli tutti»

I giudici: «Bearzi e Mazzotta inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico: erano da tempo al corrente della fatiscenza e pericolosità dell’edificio»

L’AQUILA. «Sono rimasti inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico che colpiva L’Aquila già da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del Convitto nazionale, mentre i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare da tempo l’inagibilità della scuola, la cui instabilità era nota. O, almeno quella notte, organizzare l’evacuazione degli studenti». In quel crollo morirono tre minorenni: Luigi Cellini di Trasacco, Ondrey Nuozovsky e Marta Zelena, della Repubblica Ceca e rimasero feriti Mirko Colangelo e Luigi Cardarelli. Per queste ragioni, in qualche modo già sostenute nelle motivazioni di tribunale e appello, la Cassazione ha confermato le condanne per omicidio colposo e lesioni per Livio Bearzi, ex preside del Convitto, friulano, e Vincenzo Mazzotta, aquilano, allora dirigente provinciale responsabile dell’edilizia scolastica. A Bearzi sono stati inflitti 4 anni di carcere e solo poche settimane fa è stato posto ai servizi sociali; due anni e mezzo è stata la pena per Mazzotta. «La situazione di allarme», prosegue la motivazione «era talmente conclamata che il sindaco aveva disposto la chiusura di tutte le scuole del centro storico». Se Mazzotta avesse fatto la valutazione di pericolosità, «non sarebbe mancata un’analoga ordinanza di inagibilità che avrebbe salvato tutti». Sulla responsabilità di Bearzi, la Corte sottolinea che «l’indagine è tranciante». «Per costui il piano di sicurezza prevedeva il potere dovere di disporre l’evacuazione in caso di necessità». «D’altra parte, in quella notte fatale si era in presenza di indicazioni drammatiche che imponevano di corrispondere con immediatezza alle richieste dei giovani allievi e particolarmente di quelli minori», prosegue la Cassazione. I supremi giudici, analizzando il comportamento del dirigente, condividono il giudizio di Appello che ha ritenuto che «manifestò una conclamata insensibilità, una grave negligenza e imprudenza, imponendo ai ragazzi di sopportare un rischio elevato che si concretizzò nel volgere di poche ore». Inutilmente l’ex preside si è difeso sostenendo di non essere al corrente dell’imminente pericolo. «La situazione era da tempo pericolosa, e gli era stata segnalata dal suo responsabile della sicurezza e prevenzione», dicono i giudici. «Essa, in ogni caso», continua la Cassazione, «aveva assunto tale drammatica evidenza, in quella notte, che veniva travolto qualunque parere fosse stato espresso in epoca anteriore a proposito della verifica di un sisma di rilevante portata». Di fonte a una situazione così precipitata, sono carta straccia «le circolari ministeriali in ordine all’assenso dei genitori all’allontanamento degli allievi. Si tratta di direttive che fanno riferimento a situazioni ordinarie, fisiologiche, nelle quali l’allontanamento stesso sia determinato da banali contingenze esistenziali; e non si riferiscono per nulla a quelle in atto, impellenti e drammatiche, in relazione alle quali era anche formalmente previsto un ordine di evacuazione affidato al preside». Per Mazzotta, la Cassazione afferma che «non si può dubitare dell’esistenza dell’obbligo di collaborare alla gestione del rischio sismico connesso alla fragilità dell’edificio». «La fatiscenza e pericolosità del Convitto era nota, visto che i documenti con le valutazioni dell’Abruzzo Engineering erano a conoscenza dell’amministrazione provinciale e del Mazzotta, senza che venissero svolti i necessari approfondimenti».

Le parti lese sono state assistite dai legali Stefano Rossi e Antonio Milo.

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