Una donna piange a causa degli sciacalli: «Mi hanno strappato i ricordi»

Ritorno a casa? Tra dieci anni

La vita dopo il 6 aprile, poche illusioni tra gli sfollati

L’AQUILA. E’ la rassegnazione il sentimento dominante di molti aquilani che abitavano in zona rossa o con case classificate E: hanno la consapevolezza che non ci torneranno prima di 5/10 anni.
Sono le storie che spuntano dall’iniziativa «Ieri e oggi, così è cambiata la nostra vita» da noi avviata per far sentire voci e opinioni dei terremotati dopo il sei aprile. Se il lavoro è importante, come abbiamo constatato leggendo precedenti mail, la casa non è da meno nella scala delle esigenze degli aquilani.

«La mia abitazione» testimonia Luciano Lauri, «è classificata E e dal 6 aprile vivo a Tortoreto dove sono condannato a restare per i prossimi dieci anni». Lauri è triste e rassegnato anche per altro. «Dopo essere risultato assegnatario del Progetto Case ne sono stato escluso senza motivo. Non so se un giorno potrà tornare nella mia città». «La mia casa» scrive Anna Masci, «un immobile vincolato era nel centro storico. Dopo la messa in sicurezza la mia abitazione è in stato di completo abbandono anzi l’immobile sta sempre più deteriorandosi. Per il rientro il tempo stimato con molto ottimismo è dai cinque a dieci anni».

Ma, come detto, anche chi non viveva in centro storico sa che nella propria abitazione non ci tornerà tanto presto. «Quando penso alla mia casa a Bazzano» testimonia Assunta Mariani, «il primo aggettivo che mi viene in mente è bella. Adesso è brutta, distrutta e inagibile. Nessuno ci ha mai detto quando potremo rientrare ma sicuramente, a essere obiettivi, non passeranno meno di 10-15 anni. Il terremoto ha creato anche problemi di lavoro. Io sono una ballerina e ha una scuola di danza per bambini e adulti e ho avuto un crollo del 40 per cento dell’attività». Un grido disperato. «Hanno saccheggiato la mia casa già sgangherata» si lamenta Rita Tichetti, «strappandomi ricordi del mio trascorso e lasciandomi completamente senza storia. Questa comincia a diventare una guerra tra poveri e io non voglio rimanere impassibile a guardare».

Naturalmente il tema delle macerie è tra quelli dominanti. «Bisognerebbe darsi una mossa», sollecita Valentina Lamanna «così si richia che anche quegli immobili che non avevano subìto danni con il sisma ora li rischiano per causa dell’oblio. Se non si riparte dal centro L’Aquila rischia di morire. Bisogna fare qualcosa, almeno togliere le macerie». La voglia di ripartire comunque c’è. «Nata e cresciuta all’Aquila», racconta Carlotta Inverardi, «sono tornata a viverci con i miei figli solo nel 2000 dopo la morte di mio marito. Abitavo in via San Marciano in un edificio del 1600». L’imperativo è il seguente. «Rimanere qui a combattere» dice la Inverardi, «per vederla ricostruita insieme a tutta la città».

«Io e la mia compagna», racconta Alfonso Salvatore, «abbiamo perso una zia, il nostro cane, casa a piazzale Paoli e ufficio a piazza della Prefettura. Abbiamo ancora da pagare un mutuo da 117mila euro, il lavoro è in crisi e il futuro appare nero». «Mi manca tutto» si lamenta Ornella De Simone che solleva un problema collettivo forse troppo sottovalutato, «non ho più amici, c’è stata uan disgregazione totale. Noi non viviamo ma sopravviviamo».
Il sondaggio nell’ambito della iniziativa di Centro e Repubblica sta avendo sempre più contatti. Pertanto chi volesse scrivere la sua storia può farlo mandando una e-mail sui siti internet (www.repubblica. it) e (www.ilcentro.it).