«Strappa quel verbale e ti do cinquemila euro»

Il gip: ecco come l’avvocato Di Ramio cercò di corrompere i carabinieri Il disperato appello dell’indagato: «Distruggi l’accusa e salvi la mia immagine»

L’AQUILA. «Cinquemila euro e strappi quel verbale. Distruggi l’accusa penale e non la mia immagine. Io non voglio andare come teste a dire che mi so’ fatto ogni tanto la coca...ogni tanto vuol di’ sempre...all’Aquila...». L’avvocato Giuseppe Di Ramio si preoccupa dello sputtanamento mentre parla col carabiniere che indaga sul traffico di droga. Cinquemila euro per i due investigatori (offerta ovviamente rifiutata) al fine di indurli a distruggere il verbale di sommarie informazioni redatto il giorno prima. Un verbale in cui, come scrive il gip nell’ordinanza, compaiono «dichiarazioni circa l’uso personale di cocaina e allo stesso tempo accusatorie nei confronti di alcuni indagati».

Nella casa del legale aquilano, in una calda serata di metà giugno di un anno fa, si consuma non solo quello che il codice penale chiama reato (articolo 322: istigazione alla corruzione). Ma anche un colloquio a tratti drammatico, con il carabiniere che non si stanca di dire «Non si può, non si può, non si può» e l’indagato che, in un crescendo di disperazione, cerca di dare fondo a tutte le tecniche oratorie. Tecniche, annota il gip, «ora tese a blandire l’interlocutore («quanto alla mia personalità hai ragione. Frutto di lavoro, talento ed emozione. Tu forse, non sei da meno. Per questo ti apprezzo. Raramente s’incontrano persone speciali»); ora tese a operare pressioni e a comprimere la libertà di scelta con l’utilizzo di un linguaggio curiale e minatorio («Mi distacco da quanto estorto e minacciato. In situazione di palese absentia mentis; nego tutto, in quanto vero il contrario. Le vostre minacce? La mia firma è stata estorta e in aula determineremo il contrario. Le sue minacce finiscono qui. Se non ha prove, buona fortuna»). Poi Di Ramio, al culmine della concitazione del suo colloquio con l’investigatore, tira in ballo l’asserita «amicizia» con il pm titolare dell’indagine e riserva anche un’espressione greve nei confronti di un ufficiale dei carabinieri. «Infine», scrive il gip, l’offerta di denaro viene reiterata e, «cosa ancora più grave, menzionando il pubblico ministero titolare dell’indagine («Fabio Picuti vede mo’ legge che mi faccio la coca?!...forse è meglio Fabio a ’sto punto...mo’ Fabio mo’ legge...Fabio è un mio amico carissimo...dai non posso fa’ vede’ Fabio che mi faccio la coca...quindi è Fabio il pm...proprio con Fabio mi dovevo scontrare...eeeh mannaggia...il capitano donna...fammela conosce...me la sc...pure...tanto...come lo sa il capitano...da me non esce niente...da te non esce niente...il capitano non sa niente». Eppure, lo bacchetta il gip, «per via della professione di avvocato, egli doveva essere pienamente consapevole della gravità della condotta posta in essere». All’Aquila ogni tanto vuol dire sempre.

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