IL CASO

Sulmona, sequestra la moglie in casa: imprenditore condannato

Due anni all’uomo che impediva alla donna anche di lavarsi per andare al lavoro. Il legale: "Fine di un calvario". Assoluzione solo per il reato di violenza sessuale

SULMONA. Con la condanna a due anni di reclusione si è concluso in tribunale a Sulmona il processo penale che vedeva imputato S.A., imprenditore locale, per i reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni gravi, sequestro di persona e violenza sessuale ai danni della moglie. Il tribunale presieduto da Giorgio Di Benedetto, dopo una lunga camera di consiglio, ha ritenuto di condannarlo per i primi tre reati contestatigli e di assolverlo esclusivamente per la violenza sessuale.

«Si trattava di un matrimonio basato sulla sopraffazione che il marito aveva costantemente messo in atto nei riguardi della moglie, ritenendola un bene di sua proprietà» spiega il difensore della parte civile, l’avvocato Cinzia Simonetti.

leggi anche: Pescara, violenza e abusi sulla moglie: tre anni e mezzo L' uomo, di 43 anni e di nazionalità straniera, ma residente a Pescara, per circa sei mesi, nel corso del 2012, avrebbe costretto la moglie, con l'uso della forza, ad avere dei rapporti sessuali

Secondo l’accusa, alla vittima sarebbe stato impedito di esistere come persona, come donna. Il marito le proibiva anche di lavarsi alla mattina per recarsi al lavoro, dicendole che così facendo gli altri uomini non l’avrebbero avvicinata. «Insomma, un vero e proprio calvario patito dalla donna», prosegue Simonetti, «culminato con il suo pestaggio in piena regola durato per circa due giorni, in quel di Pettorano sul Gizio, interrotto solo dall’arrivo della sorella, (diventata poi uomo, ndc), della mia assistita che è riuscita, in assenza del marito, a far fuggire da una finestra dell’abitazione della coppia la donna e le sue due bambine, portandole in salvo e recandosi per le cure necessarie presso l’unità di pronto soccorso dell’Ospedale di Chieti dove la signora ha sporto querela.

+Come avvocato e come donna» conclude l’avvocato Simonetti «devo dire che la condanna del Salvatore è un buon risultato che cristallizza una verità, spesso difficile da far emergere nell’istruttoria dibattimentale, considerando la tipologia dei reati contestati e le dinamiche con cui gli episodi di violenza in famiglia avvengono, al riparo da altre persone e solo quando le vittime si trovano indifese con i loro aguzzini. La mia assistita ha dimostrato davvero coraggio, quel coraggio che troppo spesso manca a chi viene soggiogato da queste deviate dinamiche familiari».

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