Terremoto, grandi Rischi-bis: scontro tra parti lese e Procura

Il pm Picuti: impossibile provare le tesi sostenute dai trenta ricorrenti. Avvocati e familiari delle vittime: sottovalutate le nostre argomentazioni

L’AQUILA. Scontro in aula tra parti offese da un lato, e Procura e difese dall’altro, nell’udienza del procedimento satellite che vede indagati i sette componenti della commissione Grandi rischi. E ieri, paradossalmente, il gioco delle parti si è ribaltato con il pm Fabio Picuti e la collega Roberta D’Avolio a sostenere «insieme» ai difensori che le accuse non reggono e le parti civili a dire il contrario.

L’udienza di ieri era stata fissata dal giudice per le indagini preliminari Giuseppe Romano Gargarella per ammettere o meno trenta parti civili (in buona parte parenti di studenti fuori sede) nel procedimento contro i sette componenti della commissione, in seguito al mancato allarme. La Procura, però, ha chiesto di archiviare e c’è stata opposizione delle parti lese sulla quale deve decidere Romano Gargarella il quale si è riservato in tal senso un’ordinanza.

Nell’udienza a porte chiuse la Procura ha ribadito quanto da sempre sostenuto: «Siamo di fronte a un deficit probatorio», ha detto il sostituto procuratore della Repubblica, «e questo non è colpa di nessuno». Egli, probabilmente, si riferiva soprattutto alle posizioni degli studenti universitari non aquilani che sono deceduti nel crolli. È stato detto al riguardo che le risultanze probatorie non poggiano su solide basi a cominciare dal fatto che non è facile confrontare le abitudini pre-terremoto di persone non aquilane e quelle immediatamente successive ai messaggi promanati in seguito alla riunione di fine marzo 2009. Insomma la Procura ritiene impossibile valutare il nesso causale tra comportamenti e rassicurazione.

«Gli studenti fuori sede», è stato detto, «non hanno la coscienza del terremoto che invece è tipica degli aquilani». Secondo la pubblica accusa si naviga in un mare di incertezza che non prevede nessun approdo concreto. Non è possibile, dunque, provare un mutamento sensibile di abitudini.Sulla stessa falsariga le argomentazioni dei difensori dei sette indagati: si tratta di Franco Barberi, Bernardo De Bernardinis, Enzo Boschi, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva e Mauro Dolce, tutti condannati a sei anni di reclusione nel procedimento principale per il quale si attende la motivazione della sentenza da parte del giudice unico Marco Billi.

Diverso il discorso delle parti offese. «Se le denunce sono state tardive rispetto ad altre», ha detto Angelo Lannutti, portavoce dei familiari, «è perché dovevamo comunque informarci su quello che avevano fatto i nostri ragazzi ma questo materiale probatorio non poteva essere fornito subito vista la situazione del momento». Ma alcuni avvocati hanno sostenuto che comunque le informazioni fornite agli investigatori non sono state approfondite nella giusta misura. Inoltre è stato precisato, sempre dai legali delle parti offese, che le affermazioni fatte dai genitori dei ragazzi morti sulle loro decisioni non sono state considerate nella giusta misura. Ci sono poi legali che hanno detto di avere dato nuovi e ulteriori elementi di valutazione al giudice, il quale, dovendo emettere una decisione per la quale ci sono forti aspettative, si è preso qualche giorno di tempo prima di depositare l’ordinanza.

Tra breve, dunque, la decisione, ma l’impressione delle parti in causa è che ci si stia avviando verso un’archiviazione almeno per parte dei ricorrenti.

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