Torna all’antico colore il soffitto della basilica di San Bernardino

Ripristinato l’azzurro che risalterà tra gli elementi dorati Eliminato il verde: fu scelto nei restauri dell’Ottocento

L’AQUILA. Il colore verde che copriva il soffitto, negli interstizi tra gli elementi di legno dorato e intagliato, è scomparso per fare spazio all’originale azzurro cielo, coperto in epoca ottocentesca. Il monogramma di San Bernardino è stato ripristinato utilizzando i ceci di Navelli, esattamente com’era successo nel 1700. Adesso il soffitto della basilica, che riaprirà a breve al pubblico, è tornato quanto più possibile simile all’originale.

Il restauro, durato poco più di un anno, è costato 300mila euro, a cui sono stati aggiunti più di 10mila euro solo per il ripristino del colore, ed è stato finanziato interamente dalla Fondazione Carispaq. La basilica è oggetto di importanti lavori a cura del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche.

A dirigere le opere sul prezioso soffitto è stata Lucia Arbace, soprintendente ai beni storico-artistici, già designata a capo del Polo museale d’Abruzzo. Il cielo a cassettoni lignei, intagliati, dipinti e dorati, realizzato da Ferdinando Mosca da Pescocostanzo tra il 1723 e il 1727, cui è attribuito anche l’organo monumentale, venne dipinto da Girolamo Cenatiempo, allievo di Luca Giordano. Ma nel corso dei secoli ha subìto modifiche e rimaneggiamenti. Per questo motivo l’obiettivo dei lavori è stato soprattutto il recupero della facies settecentesca, come spiega la stessa Arbace.

Perché si è trattato di un’opera eccezionale?

«Grazie al ponteggio montato per le opere di consolidamento statico sono state possibili non solo le attività conservative sull’intera superficie dipinta o dorata ma anche le visite guidate nel cantiere, permettendo di godere la vista di questo manufatto a distanza ravvicinata. Un’esperienza veramente straordinaria per i visitatori ma anche per me, perché questa direzione dei lavori si colloca tra le più gratificanti in assoluto».

Il cassettonato firmato da Ferdinando Mosca da Pescocostanzo all’inizio del Settecento, nel quale sono incastonate le tele di Girolamo Cenatiempo, versava in condizioni difficili?

«Il soffitto nel suo insieme ha tenuto bene, ma il sisma non ha mancato di procurare problemi di diverso genere: non sono mancati distacchi e perdite delle parti ammalorate o fragili. Oltre al consolidamento e alla pulitura quindi è stato necessario rimuovere i grandi rosoni intagliati, che non erano bene ancorati e presentavano non poche lacune soprattutto in corrispondenza dei riccioli intagliati».

Durante i lavori sono venute alla luce sorprese inaspettate?

«Più che una sorpresa c’è stata una conferma. Prima dei lavori ero certa che quel brutto verde che era visibile alzando lo sguardo all’interno della chiesa era frutto di una ridipinta moderna e che il colore originale doveva essere un bell’azzurro cielo. Bene, lo abbiamo ritrovato intatto proprio sotto i rosoni che sono stati smontati. È stato ristabilito l’originale colore di fondo, l’azzurro, che fu coperto dal verde con interventi successivi».

Ora si può dire che il soffitto sia assolutamente identico all’originale?

«Per ogni opera d’arte sottoposta all’azione del tempo, e alle manipolazioni, soprattutto quelle più traumatiche dovute ai periodici terremoti, non si può mai usare l’aggettivo identico, rispetto alla configurazione originale. In questo caso, però, l’intervento ha ripristinato un originario equilibrio cromatico che si era senz’altro perso a causa delle scelte non corrette praticate in precedenza».

Ci parla del monogramma di San Bernardino ripristinato utilizzando per la decorazione a rilievo i ceci di Navelli, come era stato fatto nel 1700?

«Nel racconto della sua origine, esposto ai fortunati visitatori del cantiere, ricordo che colpiva la descrizione della tecnica esecutiva del monogramma che spicca al centro del soffitto. Le restauratrici e le giovani storiche dell’arte, che curavano la didattica, mostravano una scatolina trasparente con i minuscoli ceci che erano riemersi in occasione del consolidamento degli strati superficiali ormai indeboliti. In origine i ceci erano stati incollati sul tavolato per ottenere una superficie ruvida, in grado di rifrangere la luce, con particolari effetti di bagliori dorati. L’utilizzo di un prodotto del territorio è comunque una ulteriore prova del rapporto tra arte e natura, in Abruzzo particolarmente stretto e qualificante. L’uso frequente dei materiali organici è antichissimo, attestato già in seno alle genti italiche che, ad esempio, utilizzavano le ossa per realizzare quegli straordinari letti con figurazioni intagliate».

Quanto sono durati i lavori sul soffitto?

«È stato possibile realizzare il restauro del soffitto, finanziato dalla Fondazione Carispaq in tempi brevi (poco più di un anno) con 300mila euro, un importo modesto vista la grande estensione della navata, grazie al ponteggio già montato che era stato utilizzato per il consolidamento statico».

Michela Corridore

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