Tracce della città perduta

Gli archeologi scoprono mura e acquedotto dell’antica Aveja.

FOSSA. Per secoli è stata custodita dalla terra, le sue origini sono avvolte nel mistero e persino la sua localizzazione è un’incognita. Ma le indagini archeologiche, condotte dall’inizio dell’estate a Fossa, hanno portato alla luce le prime testimonianze dell’antica città di Aveja. La «caccia» all’antica città è cominciata a giugno: le ricerche sono state dirette dall’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte di Roma con la partecipazione della Soprintendenza abruzzese, di quattro università italiane (Foggia, Chieti, La Sapienza di Roma e L’Orintale di Napoli) e dell’Ateneo francese di Amiens, oltre alla collaborazione del Comune di Fossa. Dell’antica città non si hanno molte notizie: presumibilmente è rimasta attiva tra il IV secolo avanti Cristo e il VI dopo Cristo nella zona bassa di Fossa. Le indagini archeologiche, concluse in questi giorni, si sono soffermate su quattro siti nella zona del campo sportivo e della tendopoli del paese e si sono concentrate, in particolare, sullo studio delle antiche mura della città che erano solo in parte visibili all’inizio delle ricerche.

«Queste costituiscono i resti più imponenti e significativi della città romana», spiega Fabrizio Pesando dell’Università di Napoli L’Orientale, «ad Aveja nel I secolo dopo Cristo vennero inseriti sia gli edifici di carattere pubblico, come basilica, teatro, anfiteatro, e sacro, come templi e santuari, caratteristici delle città romane dell’epoca, sia strutture residenziali e commerciali, domus e botteghe. L’intera area, estesa su una ventina di ettari, venne circondata da un articolato sistema di fortificazioni». Solo una parte di queste fortificazioni sono ancora visibili. «Gli scavi hanno permesso per la prima volta di documentare i resti delle mura che delimitavano la città bassa presso l’angolo sud-est», continua Pesando, «per proteggere al meglio questo settore, considerato evidentemente molto vulnerabile, alle mura fu addossata una semitorre, destinata ad accogliere le macchine da guerra, catapulte e baliste, utilizzabili durante gli assedi».

Anche questa costruzione è stata ritrovata durante lo scavo e doveva essere formata da piccoli blocchi irregolari che creano una tessitura di tipo poligonale. «Dall’esterno, una canalizzazione, portava in città dell’acqua convogliata probabilmente da un corso situato in prossimità della città», spiega il docente. I saggi estivi dovranno essere approfonditi in un secondo momento, come spiega il vicesindaco di Fossa, Giacomo Di Marco. «Contiamo», afferma, «di poter realizzare prospezioni con il georadar sul terreno, già da novembre». Queste indagini permetterebbero agli studiosi di capire se il sottosuolo custodisce altre testimonianze di strutture in muratura dell’antica città. Il terremoto non ha creato solo danni: dopo il sisma, infatti, è stato necessario mettere in atto lavori di puntellamento, recupero e restauro che in alcuni casi hanno portato alla luce i tesori nascosti del territorio.

Ma in questo periodo sono state numerose anche le indagini archeologiche: oltre a quella a Fossa, alla ricerca dell’antica Aveja, sono state condotte delle ricerche a Preturo per la realizzazione della strada di collegamento all’aeroporto che hanno portato alla luce una villa romana e a Peltuinum sono state scavate ben 35 tombe appartenenti a una grande necropoli in uso tra l’VIII e il primo secolo avanti Cristo che non era conosciuta precedentemente.