Truffa, il vescovo si scusa in piazza"Non mi nascondo, ridateci fiducia"

Inchiesta sulla fondazione Abruzzo e solidarietà, appello di D'Ercole ai cittadini: "Provo tanta sofferenza a sapere che mi hanno imbrogliato. In Curia c’è grande smarrimento"

L'AQUILA. «Sono venuto volentieri qui in mezzo alla gente, perché mi sembra giusto venire a parlare coi cittadini, anche se dentro di me c'è tanta sofferenza, perché trovarsi sbattuto sul giornale in questo clima a me fa male». È l'appello accorato che il vescovo ausiliare Giovanni D'Ercole ha fatto ai cittadini, gli stessi con cui nella primavera del 2010 lavorò con pala e carriola per rimuovere le macerie di piazza Palazzo.

L'inchiesta sulla tentata truffa sui fondi per il sociale e il colloquio coi magistrati lo hanno «provato e addolorato». E come per togliersi un macigno dal cuore, D'Ercole ha voluto chiarirsi con gli aquilani, scegliendo, per farlo, il luogo simbolo della partecipazione post-sisma, il tendone di piazza Duomo dove ieri mattina si parlava di ricostruzione in un dibattito promosso dall'assemblea cittadina.

«È una situazione che fa male anche al ruolo che ricopro», ha aggiunto il vescovo ausiliare. «Io che sono venuto in questa città per fare una sola cosa: mettermi a servizio della gente. Quello che ho fatto l'ho fatto con questa intenzione, con tutto il cuore, perché ci ho creduto, mi sono fidato della gente che ho trovato lungo la mia strada. Ma se tutto ciò che si sta accertando fosse vero io sono stato imbrogliato, tradito. Ora mi ritrovo doppiamente solo e abbandonato. Primo perché sento che la gente perde la fiducia davanti a queste situazioni, e questo mi fa tanto male. Secondo perché ho creduto in una causa che si è rivelata sbagliata. Però non mi scoraggio. Da mia madre ho ricevuto una sola consegna», ricorda D'Ercole. «Siamo nati poveri, vengo dalle nostre terre, dalla Valle Roveto, siamo emigrati a Roma, mia madre mi disse "noi non abbiamo nulla, come ricchezza hai solo la tua faccia". E io cerco di salvarla. Ecco che oggi vorrei dire che sentirmi anche lontanamente dire che sono complice di una truffa è un'offesa di cui risento profondamente. Invece, sono stato imbrogliato», ha aggiunto, «sono stato poco prudente nel credere a queste persone, forse a questo ci posso ripensare. Mi serva per il futuro».

«Quest'esperienza sia per me come una grande lezione», ha aggiunto il vescovo, «ma a me stesso e agli aquilani dico: non ci dobbiamo scoraggiare. Dobbiamo andare avanti, essere molto più prudenti, certo, ma continuare a lavorare insieme. Finché sarò in questa città voglio spendermi per questo: per lavorare insieme, ricostruire la speranza e dare un futuro alla città». Ma D'Ercole ha anche sottolineato il ruolo della Chiesa nella ricostruzione. Un compito definito «duplice». «A livello spirituale dobbiamo ricompattare le comunità disperse e dare fiducia e speranza alle persone. In secondo luogo la Chiesa deve ricostruire i luoghi di culto e le sue proprietà. Ci vuole, però, prudenza. Quello che è avvenuto in questi giorni mi servirà, se il Papa vorrà che io resti in questa città. Ho capito che quando si ha a che fare con denaro, fondazioni, istituti che danno soldi, con persone che finanziano, il rischio c'è sempre. Bisogna lavorare, ma sempre con onestà».

D'Ercole si è detto anche preoccupato per l'atmosfera che si respira negli ambienti della Curia. «Dentro la Curia c'è un'atmosfera di grande smarrimento, tutti ci chiediamo cosa sia accaduto», ha concluso. «Se ci fossimo accorti di qualche minima stranezza saremmo intervenuti subito. Vorrei che questo emergesse. Ed è questo che ho raccontato ai magistrati. Mi fa soffrire leggere negli occhi della gente il dubbio che anche il vescovo faccia parte della truffa. Questo mi dispiace. Il mio è il ruolo di un padre. Ho il compito di dare conforto, sostegno, fiducia. Lungi da me la più piccola intenzione di truffare».

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