«Un parco della musica può aiutare a rilanciare la cultura in città»

Il direttore del Conservatorio, Carioti: grazie al Giappone avremo una nuova sede con annesso l’auditorium

L’AQUILA. Bruno Carioti è nato a Roma nel 1951. Inizia giovanissimo lo studio del pianoforte che conclude diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia nel 1975. Dopo aver frequentato per alcuni anni la facoltà di Ingegneria si dedica completamente alla musica iniziando l’attività concertistica ed esibendosi soprattutto come solista. Studia composizione e si interessa alle nuove tecnologie collegate allo sviluppo della produzione sonora assistita dai computer. Scrive e realizza colonne sonore per lungometraggi, film e sit-com televisive. Svolge attività didattica dal 1977 al Conservatorio Casella dell’Aquila di cui è direttore dal 1998.

L’AQUILA. Bruno Carioti è il direttore del Conservatorio Casella. Non è nato all’Aquila e non ci abita. Ma da oltre trenta anni vive in simbiosi con la città che lo ha visto prima docente e poi, da qualche anno, direttore del Conservatorio, una delle strutture scolastiche e culturali più prestigiose del capoluogo di regione.
Dal 22 dicembre il Conservatorio ha una nuova sede nella zona est della città. È una struttura che si estende su 3000 metri quadrati ed è stata costruita in 40 giorni in base a un progetto che ha previsto spazi per ogni esigenza. Le aule oltre che essere insonorizzate hanno le pareti «oblique» come in una sorta di trapezio irregolare per valorizzare al massimo l’acustica. All’interno c’è una sala per le prove d’orchestra e all’esterno una «scalinata» che in estate potrà essere utilizzata per gli spettacoli musicali. Non manca una ricca biblioteca intitolata a Susanna Pezzopane una delle allieve più promettenti del Conservatorio che ha perso la vita a Onna, nella notte del sei aprile.

Direttore Carioti, qual era la situazione del Conservatorio il sei aprile?
«Era una situazione tragica. La nostra prestigiosa sede a Collemaggio è stata resa totalmente inagibile dal terremoto e in alcuni locali, penso alla segreteria, ci sono stati dei crolli. Ma devo dare atto a tutti i docenti - e a tutto il personale amministrativo - di non essersi fermati un attimo e di aver reagito in maniera esemplare: i nostri 750 studenti non hanno perso un’ora di lezione. Dopo Pasqua siamo riusciti ad assicurare le lezioni utilizzando tutti gli spazi che ci sono stati messi a disposizione e parlo delle tende ma anche di locali ad Avezzano, Pescara, Terni, Rieti e persino in strutture private. Per lo scambio di informazioni abbiamo utilizzato un forum virtuale sul nostro sito Internet. Poi abbiamo subito cominciato a pensare a una nuova struttura».

Come è nato questo Conservatorio «provvisorio» che è talmente fatto bene che è certamente più funzionale della vecchia sede?
«Io e il presidente del Conservatorio Rinaldo Tordera abbiamo subito scritto all’ambasciata giapponese in Italia - in base anche ad alcuni contatti che avevamo con un importante artista giapponese che si era subito interessato alla nostra situazione - e abbiamo chiesto un aiuto per fare un nuovo Conservatorio. La nostra lettera è datata 22 aprile e una settimana dopo abbiamo avuto una risposta nella quale l’ambasciatore giapponese si metteva a nostra disposizione. Avevamo individuato, come struttura da trasformare e adeguare, la «tettoia» che era stata costruita per il ricovero dei mezzi della tranvia. Lì avremmo realizzato l’auditorium con annesso il Conservatorio, sarebbe diventato un polo musicale come ce ne sono in tante altre parti del mondo. Eravamo certi che il progetto sarebbe andato in porto anche perché il presidente Berlusconi ne aveva parlato con i massimi vertici politici giapponesi durante il G8.

Poi ad agosto la Protezione civile ci ha comunicato che quel progetto, per una serie di motivi, non si poteva fare. A me a quel punto è caduto il mondo addosso ma devo dire che la Protezione civile ha subito accolto la mia proposta di fare un conservatorio temporaneo in altro luogo. È stato preparato un progetto per il quale mi sono state chieste delle indicazioni che gli abbiamo dato in tempi rapidi e ai primi di ottobre sono partiti i lavori andati avanti per 40 giorni. Nelle due ultime settimane il cantiere brulicava di operai, ce ne sono stati al lavoro fino a 200 contemporaneamente. Io l’ho definito un miracolo italiano. Poi in qualche modo è stato superato l’incidente con il Giappone e presto avremo, nello spazio a fianco al Conservatorio, un auditorium, provvisorio anch’esso, da trecento posti».

Cosa rappresenta oggi il Conservatorio per la città?
«Io credo che dopo il terremoto, ogni istituzione non deve guardare tanto a se stessa, ma soprattutto a quello che può fare per il territorio in cui opera. Noi crediamo di avere anche un ruolo sociale in particolare per le famiglie che qui possono trovare un punto di riferimento per i propri figli. Vogliamo essere il luogo della musica e stiamo aprendo anche spazi per la musica etnica, avvieremo corsi di zampogna, organetto, già avevamo avuto esperienza con il «du botte».

Lei conosce bene L’Aquila e gira il mondo. Come viene considerata L’Aquila in Italia e al di fuori dei confini nazionali?
«L’Aquila viene considerata ovunque la Salisburgo d’Italia per la sua grande tradizione musicale. E questo lo dobbiamo alla grande intuizione di Nino Carloni che fece della città un punto di riferimento riconosciuto e apprezzato. Faccio un esempio che è stato sotto gli occhi di tutti. Il sei settembre il maestro Muti è stato all’Aquila e ha tenuto un concerto con musicisti e coristi aquilani. Un concerto di livello mondiale. Non sono molte le città che avrebbero potuto fornire a un grande come Muti tanto materiale umano e di così elevata qualità».

Quel concerto si può dire che è stata una svolta nella storia culturale della città?
«Credo di sì. È stata la dimostrazione che se ci si mette insieme - parlo dell’orchestra sinfonica, dei Solisti, dell’orchestra giovanile e di altre realtà musicali aquilane compresi i cori - si possono organizzare eventi in grado di richiamare persone da ogni parte d’Italia».

Come mai questo non è stato mai possibile prima?
«Perché nonostante la grande qualità che c’è e c’è sempre stata ognuno è sempre andato un po’ per la sua strada. Oggi io credo che vada trovato un momento di sintesi. Chiarisco meglio: non dico che bisogna annullare decenni di storia che appartengono alle singole istituzioni musicali, ognuna può mantenere la sua autonomia, ma c’è bisogno di una sorta di cabina di regia sia per evitare soprapposizioni ma soprattutto per creare quegli eventi capaci di richiamare il grande pubblico».

Grande pubblico significa anche grandi strutture. In questi mesi si parla di uno o più auditorium con il rischio di frammentare l’offerta e non arrivare a quella sintesi di cui di parlava prima.
«A oggi L’Aquila per la musica ha il Ridotto del teatro e entro giugno dovremmo avere, come detto prima, il nostro auditorium. Poi c’è il progetto di un altro auditorium su una idea progettuale di Renzo Piano nel Parco del Castello con 250 posti. Ora è chiaro che tutto questo è importante - pur nella provvisorietà - ma io credo che noi dobbiamo guardare all’esperienza di Roma dove è stato realizzato il parco della musica. Pur senza arrivare a quella grandiosità anche noi all’Aquila dovremmo pensare a un luogo dove si possa fare musica dalla formazione alla produzione e penso a un auditorium da 800 posti».

Dove farlo, nel centro storico o si potrebbe anche decentrarlo sul territorio?
«Io sono d’accordo sul fatto che la città oggi va riprogettata pensando a dei veri e propri poli, fra cui quello della cultura. In una ipotesi di parco della musica vedrei bene, ad esempio, anche l’Accademia dell’Immagine in particolare per tutto ciò che può essere la musica per il cinema. I «poli» devono essere facilmente raggiungibili, ci devono essere parcheggi e una serie di servizi per chi ne fruisce. Qui, nella zona dove è stato realizzato il nuovo Conservatorio, è già nato un bar e presto ci sarà anche una pizzeria. Questo per dire che c’è tutto un indotto che può nascere intorno alle attività culturali, alle scuole, a qualunque posto che attrae persone.

Tutto ciò credo che sia, insieme all’università, il futuro del capoluogo. Vede, in passato spesso si è detto che L’Aquila poteva diventare una sorta di quartiere di Roma visto che in teoria basta poco più di un’ora per arrivare nella capitale - anche se oggi e lo dico per esperienza diretta non è proprio così - ma noi dobbiamo ribaltare la prospettiva, noi all’Aquila la gente ce la dobbiamo portare e ci deve restare. E si può e deve cominciare soprattutto dagli studenti. Se noi garantiamo alloggi sicuri e a prezzi competitivi avremo più studenti che saranno in grado anche di spendere di più nell’indotto visto che gli diamo un alloggio a poco prezzo. Dobbiamo ricominciare da loro. Noi, qui al Conservatorio, nonostante tutti i problemi, abbiamo avuto in incremento delle iscrizioni, ma dobbiamo anche fornire subito servizi adeguati. Se aspettiamo i 10-15 anni della ricostruzione avremo perso il treno definitivamente».

Come intervenire sul centro storico?
«Chiaramente tutto ciò che ha un valore dal punto di vista storico-artistico va ricostruito conservandone i tratti originali. Ma io penso che L’Aquila potrebbe diventare un’attrazione in futuro anche per quello che grandi architetti potrebbero progettare al posto delle brutture che sono crollate o stanno per crollare. Dopo il terremoto del 1703 la città è stata ricostruita secondo le tecniche e i gusti estetici dell’epoca. Anche oggi, come accade in tutte le città d’arte del mondo - penso a Parigi - ci sono elementi che innovano e che poi diventano delle attrazioni. Io immagino un turista che fra 100 anni, dopo aver visto la basilica di Collemaggio o Santa Maria Paganica, possa andare a vedere anche il frutto del genio di un architetto dei primi anni Duemila. Naturalmente la scelta fra ciò che bisogna lasciare e ciò che si può eliminare e rifare ex novo deve essere fatta da un pool di esperti e comunque si tratta anche di decisioni politiche».

Tornando per un attimo ai grandi eventi della città. Come mai la Perdonanza non è mai giunta a essere evento di rilevanza nazionale?
«Ma perchè come si diceva anche prima è mancato il momento di sintesi fra tutte le forze della città - e non parlo solo di quelle culturali - sulla base di un progetto unico che dovrebbe essere elaborato da persone che scommettono su una prospettiva per la città. A volte ho notato che si va uno contro l’altro solo perché l’uno o l’altro hanno avuto una idea. Ecco, avere un’idea è stata considerata quasi una colpa. Spero che questo terremoto in qualche modo dia una scossa anche a questo modo di essere che ha costituito un freno enorme per la città. Ma ripeto: L’Aquila ha in Italia ma anche fuori Italia il marchio di «città della musica». E questo dobbiamo trasformarlo in risorsa».