Una città che non vuole mollare

Le mille voci dentro il corteo: siamo preoccupati ma determinati

L'AQUILA. Stavolta L'Aquila c'era. I numeri parlano di circa 20.000 persone. A me sono sembrate perfino di più. Ma i numeri non raccontano tutto. Ho guardato quasi una per una le facce degli aquilani. Alla fine, dopo la breve occupazione dell'autostrada, ho visto tornare indietro volti sereni e rilassati. Con una consapevolezza: abbiamo fatto la cosa giusta. Dovevamo fare questa cosa giusta. Ho avuto la certezza che quella di ieri sarebbe stata una giornata a suo modo storica appena giunto alla villa comunale dell'Aquila.

Il tempo di parcheggiare ed ecco due signore che mi si sono avvicinate per dirmi: siamo tornate dalla costa, oggi bisogna esserci. Ho cominciato a guardarmi intorno: bandiere neroverdi e striscioni: qualcuno con frasi un po' "forti", ma fa parte del gioco. Mi sono messo nel gruppo dei "miei" onnesi. Davanti a loro una scritta: Onna il mio paese, L'Aquila la mia città. Vicino a me ho visto operai, poliziotti, medici, avvocati, professori universitari, artigiani, docenti, pensionati.

Sarà difficile - ho pensato - liquidare tutto con l'affermare che è stato uno striminzito corteo di "comunisti". Mi verrebbe da dire che, complice anche la bella giornata, è stata una festa anche se è difficile far festa in una casa cadente.

Quando la lunghissima fila di persone si è inoltrata nel centro storico si è visto lo sconforto. In corso Vittorio Emanuele all'altezza del palazzo di Santa Maria dei Raccomandati una signora all'improvviso ha sbottato: basta non ce la faccio più a vedere tutto questo disastro. Poco prima avevo incrociato il vescovo ausiliare Giovanni D'Ercole. Ha atteso il corteo in piazza Duomo. D'Ercole non ha nascosto un suo doppio intimo tormento: per una città dove poco o nulla è stato fatto per la ricostruzione "vera" ma anche per la percezione che a volte non tutti apprezzano lo sforzo della Chiesa di «trovare un punto di equilibrio» intorno al quale i cittadini possano unirsi e far sentire ancora più forte la propria voce. Una donna lo ha raggiunto e lo ha incoraggiato: «Vada avanti, lei è la persona giusta per questo terribile momento».

Poco dopo ho incontrato Giuseppe Calvisi, un medico che è anche il vicesindaco di Barisciano. Mi ha parlato della ricostruzione del suo paese e poi il discorso è scivolato sui problemi dell'ospedale. Mi ha confessato l'incertezza che pervade oggi gli operatori sanitari. Lo ha detto con calma, consapevole degli sforzi che pure si fanno per trovare le soluzioni. Allo stesso tempo nelle sue parole ho letto la richiesta di risposte meno vaghe e di obiettivi condivisi e concreti. L'ospedale è una delle più grandi aziende dell'Aquila, difenderla - soprattutto sotto il profilo della qualità dell'assistenza - non è un problema solo di chi ci lavora ma soprattutto dei pazienti, cioè potenzialmente di tutti noi.

Quando mi sono avvicinato alla Fontana luminosa ho sentito, più che visto, che mancava qualcosa: l'acqua. Quella conca è stata vuota spesso nell'altra storia, ma adesso dà l'idea plastica di una città che non c'è e a cui manca la linfa vitale.

Il corteo è andato avanti per viale Gran Sasso per svoltare poi in viale della Croce Rossa. E' lì che un pezzo del centro storico si è trasferito: ci sono pub, bar, piccoli negozi, barbieri e parrucchieri. Il segno di chi ha deciso di ripartire comunque e a ogni costo. Dalle parole di chi ho incontrato ho percepito tanta voglia di poter fare qualcosa di concreto per la "rinascita" dell'Aquila e dei paesi ma anche impotenza e rabbia. La richiesta al governo, nella sua semplicità è chiara: dateci gli strumenti, noi siamo pronti. E quel noi è stato ripetuto anche dai sindaci dei piccoli Comuni dell'Aquilano che sono ogni giorno nelle trincee scavate fra le macerie dei loro borghi devastati. Ho visto politici di centrosinistra e di centrodestra e non mi è sembrato che fossero lì solo per farsi vedere.

Durante il tragitto, quando eravamo quasi a piazza d'Armi all'improvviso ho avuto una brutta sensazione: mi sono sentito solo anche se ero in mezzo a decine di migliaia di persone. La mente è volata altrove ed è come se la terra mi si fosse aperta sotto i piedi. Poi ho pensato: tutto questo è anche per loro. Per chi non c'è più. E la terra si è richiusa.

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