CORONAVIRUS

A Pescara i poveri sono quattro volte di più 

Aumentate le richieste alla Caritas per un pasto caldo e per pagare bollette, affitti e farmaci

PESCARA. Parrucchieri, cuochi, pizzaioli, baristi: è il nuovo "esercito dei poveri" nato all'ombra dell'emergenza coronavirus. Con le attività commerciali chiuse da due mesi a causa della pandemia, non resta che rivolgersi alla Caritas per avere un pasto caldo, aiuti per pagare una bolletta e l'affitto, per acquistare farmaci.
LE RICHIESTE DI AIUTO «Non è facile chiedere quando si è abituati a guadagnarsi da vivere, queste persone si rivolgono a noi con coraggio e tanta dignità», osservano dalla Caritas che riceve ogni giorno tantissime telefonate di aiuto e che dall'inizio dell'emergenza ha quasi quadruplicato la distribuzione dei viveri, passata da 100 a 380 consegne giornaliere. Le buste con i pasti caldi e freddi, preparati nelle cucine di ristoratori del territorio che vogliono restare anonimi perché la carità si fa in silenzio, vengono fatte recapitare a pranzo e cena ai senza fissa dimora ospiti della tendopoli allestita dal 25 marzo nel parco Miguel Di Santo di via Alento, ai poveri della Cittadella e alle famiglie bisognose della città, con il supporto del Coc, Centro operativo comunale, e della Protezione civile.
LA FAME La pandemia sta svelando l'altro volto peggiore, dopo tanta sofferenza e morte: la fame. Uomini e donne sul lastrico che ingoiano la vergogna e contattano gli angeli della solidarietà per portare a casa qualcosa da mettere sotto i denti. Piccoli e medi imprenditori e artigiani che non possono alzare le serrande ma che hanno bocche da sfamare, in attesa della cassa integrazione o dei sussidi di disoccupazione. La parrucchiera che ha chiuso il negozio, ma deve campare il marito disoccupato e i bambini e che oggi può fare la spesa solo all'emporio solidale di San Donato, gestito dalla Caritas, diretta da don Marco Pagniello che conta sul sostegno del vice Corrado De Dominicis e su uno stuolo di volontari. Storie di dolore dietro volti sconosciuti e dietro la solitudine.
I CLOCHARD Come quelli dei (fortunamente pochi) clochard che dormono sulle panchine, avvolti da montagne di coperte per sfidare il freddo della notte, distesi sui marciapiedi, negli angoli bui nascosti della città, perché rifiutano la convivenza con gli altri senza fissa dimora. Quindici ieri, 5 donne e 10 uomini (la capienza è 18), pescaresi, ma anche stranieri del Marocco, della Bulgaria e della Nigeria che alloggiano nelle tende allestite dalla Caritas accanto alla Cittadella.

L'ospite più giovane è un ragazzo nigeriano di 24 anni, quello meno giovane ha 67 anni. Sono persone che hanno problemi di tossicodipendenza, alcolismo, patologie psichiatriche. Periodicamente vengono sottoposti alle cure del Serd, il servizio per le dipendenze, e del dipartimento di Salute mentale della Asl.
LA TENDOPOLI La quarantena non è stata facile neppure per loro, ma hanno trovato di che passare il tempo, distanziati e disciplinati sotto i tendoni riscaldati e attrezzati con ogni comfort, con i giochi di società, le carte, le letture dei libri. Qualcuno ha chiesto carta e penna per fermare i pensieri e pennarelli colorati per disegnare. E da lunedì stanno riassaporando un briciolo di libertà.
Una libertà distillata goccia a goccia dai volontari che vigilano sulle loro vite, come educatori. Non si esce dalle tende senza mascherina e guanti. Chi è uscito in città per prelevare gli spiccioli della pensione o del reddito di cittadinanza, ha fatto tappa agli alimentari a comprare quel dolcetto desiderato da tempo o si è concesso il lusso di un pacchetto di sigarette in tabaccheria.
LETTI E BAGNI Le giornate passano in fretta alla tendopoli del parco di via Alento. Ci sono i letti da rifare, i bagni da pulire (in questo periodo anche le docce di via Gran Sasso, tradizionalmente affidate alle Vincenziane, sono gestite dalla Caritas), l'erbetta dal parco da tosare con i decespugliatori che hanno imparato a usare. Gesti di normale quotidiana che però, per gli educatori e i volontari sono la «base di partenza per un percorso che li porterà a recuperare le loro vite, un giorno».
Un percorso «bello e importante», spiegano i volontari, «perché ognuno viene preso in carico secondo le proprie necessità». Nessuno viene lasciato solo. E, ai tempi del coronavirus, neppure coloro che fino a due mesi fa non sapevano cosa fosse la povertà.
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