Il dossier

Abruzzo, tracce di radioattività di Chernobyl 

Uno studio di quattro esperti dell'Arta scopre presenza di Cesio 137 a trentuno anni dall’incidente nucleare

PESCARA. Chi l'ha vissuta non dimenticherà mai quella giornata del 26 aprile 1986, quando una nube radioattiva fuoriuscita dal reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, in seguito a una violenta esplosione, attraversò l'Europa. Sono passati molti anni, eppure, tracce di Cesio 137 sono ancora ben rilevabili nei muschi del Gran Sasso e nei sedimenti del lago di Campotosto.
Lo dice la relazione curata dall'Arta Abruzzo sul "Controllo della radioattività ambientale in Abruzzo", che ha analizzato il periodo compreso tra il 2011 e il 2015. Autori dello studio sono Giancarlo Buccella, Sergio Palermi, Damiano Rancitelli e Gabriele Sulli, della sezione di fisica ambientale dell'Arta, diretta da Emanuela Scamosci. Lo studio ha riguardato il particolato atmosferico, la ricaduta al suolo (fall-out), le acque superficiali, sedimenti marino-lacustri, prodotti di origine animale e vegetale, e l'acqua potabile.
Complessivamente, in Abruzzo, la situazione non è drammatica, almeno sotto questo fronte. «Dall'esito delle misure effettuate», scrivono i ricercatori, «è possibile affermare che i valori sono quasi sempre al di sotto della Minima attività rilevabile (Mar)». Ma ci sono delle eccezioni.

MUSCHI SOTTO ESAME. Alcuni campioni ambientali e alimentari dell'anno 2011 presentavano tracce della nube radioattiva di Fukushima (oltre al Cesio 137 era stato trovato anche lo Iodio 131, che ha un tempo di decadimento di soli 8 giorni). «In altri campioni, caratterizzati da specifici processi di accumulo biologico», scrivono ancora i ricercatori nel dossier dell’Arta, «come nel caso di muschio e dei sedimenti marino-lacustri, è stata rilevata per ogni annualità la presenza costante di Cesio 137, dovuta alle ricadute al suolo delle polveri contaminate dall'incidente di Chernobyl. In ogni caso», osservano, «le concentrazioni sono state di carattere non rilevante dal punto di vista radiologico». Il Cesio 137, uno dei radioisotopi che giunse in Italia con la nube radioattiva, ha un tempo di dimezzamento di circa trent’anni. I controlli effettuati nei muschi risalgono al 2013, per cui è lecito pensare che oggi, a 4 anni di distanza (e a 31 anni dalla nube radioattiva), la quantità sia inferiore rispetto a quella riportata nello studio. Comunque, nel 2013, il risultato evidenziò una attività del Cesio 137 «di alcune decine di Becquerel (una delle unità di misura della radioattività, ndr) per metro quadrato, dovuta, presumibilmente, ai residui della ricaduta al suolo della nube radioattiva causata dall'incidente di Chernobyl negli anni '80 del secolo scorso».

 


SEDIMENTI SABBIOSI. Durante il 2014 e il 2015, su richiesta dei carabinieri del Noe, l'Arta ha analizzato campioni di sabbia prelevati in diversi punti e a diverse profondità presso la foce del fiume Alento, nel Comune di Città Sant'Angelo, «a causa di sospetti interramenti di rifiuti radioattivi nella zona.
Dalle misurazioni effettuate», dicono i ricercatori, «è possibile concludere che nei campioni di sedimenti sabbiosi analizzati, non si sono riscontrate concentrazioni di attività di radionuclidi artificiali al di sopra della minima attività rilevabile».
PELLET IMPORTATO. Sia nel 2011, sia nel 2015, sono stati analizzati vari campioni di pellet per riscaldamento.
«I risultati», si legge nella relazione, «hanno evidenziato trace di Cesio 137 in pellet proveniente dai Paesi dell'Est, contaminati probabilmente dall'incidente di Chernobyl, in particolar modo dalla combustione del pellet stesso». Anche in questo caso, le concentrazioni riscontrate «non sono risultate rilevanti da un punto di vista radiologico».
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