Aiutò l'Abruzzo ad allargare i suoi orizzonti

In una regione dominata ormai dai simpatici e dagli aspiranti tali, avere a che fare con un signore come Edoardo Tiboni era come respirare una boccata di aria fresca

In una regione dominata ormai dai simpatici e dagli aspiranti tali, avere a che fare con un signore come Edoardo Tiboni era come respirare una boccata di aria fresca. No, simpatico lui non lo era e non ci teneva a esserlo. Ricordava piuttosto uno di quei personaggi di Dickens che non hanno paura a esibire il loro cattivo carattere convinti, a ragione, che di troppo zucchero ci si ammala e che il mondo là fuori ha bisogno, a volte, soprattutto di una buona dose di realismo. E di carattere (buono o cattivo che fosse), l’intellettuale abruzzese scomparso ieri all’età di 94 anni ne aveva da vendere. Ma non si passa alla storia di una comunità solo per quello. Ci vuole altro, e quell’altro Tiboni ha dimostrato di averlo con una vita di impegno nella cultura della sua città di adozione, Pescara, e dell’Abruzzo.
Parlare di Ennio Flaiano oggi può apparire anche banale. La citazione dei suoi aforismi fa parte, parafrasando lo scrittore pescarese, di un Frasario essenziale per essere notati in società. Ma fu soprattutto grazie a lui, Tiboni, che il grande scrittore di Diario notturno e sceneggiatore di Otto e mezzo, si riavvicinò alla sua città natale. Fu Tiboni a coinvolgerlo nella creazione della Società del teatro e della musica Luigi Barbara; e fu sempre il Dottore a onorarlo con la creazione dei Premi Flaiano, un anno dopo la sua morte, quando un intellettuale liberale come il Satiro solitario non era granché accettato in un’Italia in cui la cultura era materia gestita in regime di compartecipazione da comunisti e cattolici.
Ma Tiboni ebbe anche un’altra qualità spesso sottovalutata, quella di sapersi circondare da intellettuali (abruzzesi e non) con i quali riuscì a dare ai Premi Flaiano il prestigio di cui ancora godono dentro e fuori i confini nazionali. Molti vincitori del “Flaiano” furono onorati a Pescara anni prima che il loro valore fosse riconosciuto a livello mondiale con un Nobel. E’ il caso di Josè Saramago, Imre Kertesz e Seamus Heaney. La capacità di guardare oltre i confini dell’Abruzzo fu uno dei pregi di Tiboni, una dote preziosa in una regione che, nel passato e ancora oggi, ama crogiolarsi, invece, in una sorta di provincialismo identitario e difensivo nei confronti di un mondo avvertito, spesso a torto, come incapace di riconoscere i suoi meriti. Tiboni ha insegnato, invece, all’Abruzzo a guardare al mondo come a un palcoscenico su cui esibire la sua identità senza restarne prigioniero. Non è un regalo da poco. Coltivarlo, questo dono, è la maniera migliore con la quale, a partire da oggi, si può continuare a onorare il nome e l’eredità di Edoardo Tiboni.
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