Bambino ucciso nel Pescarese, la mamma ai domiciliari

Applicato il braccialetto elettronico alla 20enne nella sua casa di Civitaquana. I carabinieri scavano nelle amicizie per capire chi l’abbia aiutata

PESCARA. Si scava nelle frequentazioni della ventenne di Civitaquana alla ricerca di chi possa aver aiutato la giovane ad abortire e a disfarsi del figlioletto. Mentre i carabinieri di Penne alla guida del capitano Massimiliano Di Pietro sono al lavoro per dipanare un’indagine complessa e delicata, la ragazza accusata di aver ucciso il figlio ha lasciato ieri il carcere di Chieti per tornare a casa dove si trova agli arresti e dove i suoi movimenti saranno controllati dagli investigatori perché le è stato applicato il braccialetto elettronico.

In questa fase i militari stanno scavando nelle amicizie di Paola Palma, disoccupata, per capire se altre persone siano coinvolte in una gravidanza che, secondo i pm Andrea Papalia e Annalisa Giusti, sarebbe stata provocata volontariamente al settimo-ottavo mese, con la conseguente morte del piccolo. Ma restano aperti ancora vari interrogativi perché la giovane, durante i numerosi interrogatori, non avrebbe fornito collaborazione dando versioni diverse e confusionarie e ammettendo solo di aver abortito. Ma dove? Chi l’ha aiutata? E dove si trova il corpicino?

Sono queste le domande a cui stanno cercando di rispondere i magistrati che, nel frattempo, stanno esaminando anche la posizione di un infermiere in pensione di Montesilvano, indagato come atto dovuto, a cui è stata sequestrata la casa e un ginecologo dell’area vestina il cui ruolo sembrerebbe, però, più marginale.

Le indagini sono nate dal chiacchiericcio del piccolo centro in cui gli abitanti avrebbero notato la ragazza prima con la pancia e poi con il ventre più piatto. Quella voce, una volta arrivata alle orecchie del comando della stazione dei carabinieri di Civitaquana, ha portato all’apertura di un’inchiesta in cui la ragazza è stata arrestata per infanticidio e per occultamento di cadavere. A fare da corollario alle indagini ci sarebbe stata, poi, la denuncia del marito, un marocchino di 28 anni senza fissa dimora – recentemente arrestato per spaccio e tornato in libertà – che si era sposato con la giovane per avere la cittadinanza e che non avrebbe più saputo nulla del figlio. A quel punto, la ragazza è stata arrestata perché, secondo la ricostruzione dei carabinieri di Penne, avrebbe provocato volontariamente l’interruzione della gravidanza tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. La giovane è stata interrogata quattro volte e avrebbe ammesso di aver abortito ma, nei successivi interrogatori, avrebbe dato versioni diverse: ora dicendo di aver affidato il bambino a qualcuno, ora raccontando di essere stata malmenata dal marocchino e tirando in ballo, a un tratto, il nome di un infermiere di Montesilvano.

E’ a quel punto che l’uomo è finito sul registro degli indagati con le accuse di omicidio, di occultamento di cadavere e per l’articolo 19 del legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. Una volta interrogato l’infermiere ha negato di aver partecipato a quel delitto aggiungendo di conoscere la coppia e di averla ospitata a casa. E’ anche per questo che il suo appartamento è stato sequestrato insieme all’auto per vedere se la giovane avrebbe abortito in quella casa. Il ginecologo, iscritto sul registro degli indagati anche lui come atto dovuto, sarebbe coinvolto nella vicenda perché due anni fa avrebbe operato la ragazza ma secondo gli investigatori il suo ruolo sarebbe ridotto a quel contatto e quindi marginale.

©RIPRODUZIONE RISERVATA