Bancarotta del Pescara calcio Il pm: 4 anni a Pincione e Soglia 

Il 30 settembre la sentenza del processo a carico degli ex presidenti della società biancazzurra Contestato un crac di 15 milioni prima del fallimento del 2008, ma la prescrizione è dietro l’angolo

PESCARA. Bisognerà attendere il 30 settembre prossimo per poter conoscere la sentenza del processo a carico degli ex presidenti del Pescara Calcio, Massimiliano Pincione e Gerardo Soglia (ex deputato del Pdl) e dell'ex amministratore delegato, Francesco Soglia, accusati di bancarotta fraudolenta per il crac da 15 milioni di euro della società calcistica (si parla di fatti che risalgono a prima del fallimento decretato dal tribunale nel 2008).
Con la prescrizione dietro l'angolo, ieri mattina c'è stata la discussione davanti al collegio che ha poi deciso di rinviare per le annunciate repliche dell'accusa, sostenuta ieri dal pm Marina Tommolini (in questo processo si sono alternati molti pubblici ministeri visto che il dibattimento è iniziato nel 2016).
Quest'ultima aveva chiuso la sua requisitoria chiedendo la condanna per tutti e tre: 4 anni di reclusione a testa per Pincione e Gerardo Soglia, un anno per Francesco Soglia, soltanto per uno dei due capi di imputazione che lo riguardavano mentre ha chiesto l'assoluzione per l'altro. «La sua posizione», aveva detto il pm, «è più sfumata».
Un procedimento lungo, con diversi imputati, che ha avuto una prima decisione proprio davanti al gup, nel 2015, in sede di rinvio a giudizio. I tre imputati di oggi optarono per il rito ordinario, mentre gli altri per il rito abbreviato che ha avuto un epilogo positivo per tutti tranne che per l'ex amministratore delegato del Pescara, Nicola Lisi, che venne condannato nel settembre 2015 a un anno e 4 mesi di reclusione (con l'assoluzione da altri tre capi di imputazione).
Ieri, la pubblica accusa è stata piuttosto chiara nell'esporre il perché delle sue richieste di condanne, facendo un cenno anche al clima politico dell'epoca che voleva il salvataggio della società a tutti i costi.
«Tutti si erano prodigati per tirare avanti, così come i componenti di tutte le società che si erano alternate alla guida della squadra». Ma, nonostante l'assoluzione del gup che non rinvenne il dolo nei comportamenti degli imputati, l’accusa ha sostenuto in requisitoria che comunque restava l'interesse dei vertici della Banca Caripe per quell'operazione. Sul banco degli imputati, infatti, c'erano a suo tempo anche i vertici della banca: l'ex direttore generale Dario Mancini, l'ex vice direttore generale Franco Coccioli, l'ex presidente della banca, Tonino Di Berardino. Tutti assolti con formula piena. Ma l'accusa, per salvaguardare in un certo senso anche la curatela fallimentare (la società venne dichiarata fallita il 19 dicembre del 2008), ha ripreso quel filo logico, per sostenere che comunque quella era stata un'«operazione finalizzata a salvaguardare la banca, e l'imprenditore non può prestarsi a operazioni del genere».
In sintesi, era accaduto che il Pescara Calcio aveva un credito con la Lega italiana calcio professionistico di oltre 2 milioni di euro, soldi che fece transitare sul conto della Caripe, riducendo quasi a zero il suo debito con l'istituto di credito, ma penalizzando in tal modo gli altri creditori.
Per le difese, che hanno chiesto l'assoluzione per tutti e tre gli imputati, il reato non esiste anche perché erano tutti impegnati nella ricerca di finanziamenti. Così come non ci sarebbe stata la distrazione di 190mila euro in favore di una società inglese, contestata a Pincione. La sentenza, dunque, arriverà il 30 settembre prossimo.