CALA LA NEBBIA NELLE AULE DI GIUSTIZIA

L’ «affare Fira», madre di tutte le inchieste giudiziarie abruzzesi: cancellato. Sanitopoli e il caso Del Turco: cancellato. Il «ciclone» Montesilvano che travolse il suo ex sindaco: cancellato. L’arresto di Luciano D’Alfonso nel clamore di una notte elettorale: cancellato.

E ancora, le otto giovani vite sepolte tra le macerie di una sgangherata casa dello studente all’Aquila: cancellate per sempre. Non solo per incuria umana, ma ora anche per volontà politica. E’ l’ultima pena inflitta a familiari già straziati nel profondo dell’anima.

Ecco riassunti sommariamente gli effetti del processo breve nel nostro Abruzzo senza pace. Nelle pagine seguenti (2 e 3) Gianpaolo Coppola ha ricostruito con lo scrupolo del cronista giudiziario ciò che accadrà ai principali processi abruzzesi - quelli da prima pagina - dopo che la Camera trasformerà in legge il testo già approvato in Senato. Un condono generalizzato. Indistinto. Non si saprà mai più chi davvero ha rubato, corrotto, speculato e chi - forse - è stato calunniato, ingiustamente accusato o, semplicemente indagato, sarebbe stato capace di smontare in un’aula di tribunale le tesi accusatorie. Come forse non si conosceranno eventuali errori o sottovalutazioni degli inquirenti. Tutti prosciolti per volontà del Parlamento. Ma davvero tutti immacolati?

Imbarazzante contraddizione per quei deputati e senatori abruzzesi del Pdl che a Roma votano secondo l’ordine di scuderia ma che tra Pescara e L’Aquila hanno tratto un vantaggio politico dall’azione della magistratura requirente. Garantisti e giustizialisti secondo convenienza. Da vent’anni in Italia è difficile parlare in maniera serena della giustizia e della sua riforma, pur necessaria. Qualsiasi privato cittadino - non dunque i potenti di ogni risma - abbia avuto a che fare nel corso della sua vita con il farraginoso meccanismo giudiziario, civile o penale che sia, ha provato sulla sua pelle le inefficienze del sistema. Così com’è non va. Ma la soluzione che si sta adottando con il processo breve non risolve i problemi, li esorcizza cancellandoli. E il Paese si spacca ancor di più: da un lato i berlusconiani d’ordinanza, dall’altro la smarrita opposizione.

Ha voglia il presidente Napolitano ad auspicare un clima di dialogo; a colpi di maggioranza si sta cambiando nella sostanza l’assetto istituzionale. E se sulla scena nazionale l’attenzione è tutta concentrata sulle vicende personali del presidente del Consiglio, quando poi ci si cala nelle realtà locali si scopre che le conseguenze del processo breve provocheranno veleni e scorie tossiche nella già asfittica dialettica democratica tra i poteri locali. Sarà difficile porvi rimedio.
Una fiction sopra le righe, vista in tv la scorsa settimana, dedicata allo scandalo di fine Ottocento della Banca Romana, almeno un pregio l’ha avuto: ha mostrato come sin dagli anni successivi all’Unità d’Italia la corruzione politica abbia pervaso la vita pubblica. Senza ottener giustizia. «Piove fango dai cieli d’Italia» scrive Luigi Pirandello in uno dei passaggi più accorati del suo unico romanzo storico, I vecchi e i giovani. E si riferisce proprio alla ferita della Banca Romana.

Oltre cent’anni dopo, insieme al fango, una nebbia cala sugli abruzzesi e sugli italiani tutti per coprire e rendere invisibile la realtà. O per lo meno grigia e confusa. Ma sarà difficile dimenticare. Almeno per chi ha memoria.