Cearpes, assolti i vertici Non fu crac fraudolento

La Corte d’appello cancella le condanne di primo grado sulla bancarotta della coop che assisteva i minori psichiatrici: scagionati Quattrocchi e Pompinetti

PESCARA. Nessuna bancarotta fraudolenta, ma un regolare trasferimento dell’azienda a una nuova società, costituita ad hoc, determinato dalla necessità di non interrompere un servizio delicato come quello dell’assistenza a minori psichiatrici gravi. La Corte d’appello dell’Aquila riabilita pienamente, con un’assoluzione perché il fatto non sussiste, Dominique Quattrocchi, 52 anni, nato in Francia ma residente in città, componente del consiglio di amministrazione e liquidatore della cooperativa Cearpes di San Giovanni Teatino, condannato in primo grado dal gup di Chieti a due anni (sospesi).

L’accusa, sgretolatasi in secondo grado, si basava sulla tesi che Quattrocchi avrebbe stipulato un contratto di affitto d’azienda in favore della Lilium cooperativa sociale onlus allo scopo di trasferire la disponibità di tutti o dei principali beni aziendali a un altro soggetto giuridico. In tal modo, secondo la procura, la Cearpes – dal 2007 in liquidazione coatta amministrativa - si sarebbe trovata nell’impossibilità di esercitare qualsiasi attività economica e sarebbero stati ostacolati gli organi del fallimento nella liquidazione dell’attivo. In sostanza, sarebbero stati danneggiati i creditori.

Un’accusa, smontata ora dai giudici Fabrizia Francabandera (presidente), Aldo Manfredi e Gabriella Tascone, che aveva trascinato nei guai anche Gabriele Pompinetti, 48 anni, di Montesilvano, allora legale rappresentante della Lilium, pure condannato a due anni in primo grado e assolto dalla Corte d’appello, che ha fatto proprie le conclusioni dell’avvocato Federico Di Giovanni, difensore dei due imputati. La Cearpes, spiega la sentenza bis, «non era più in grado di assicurare il servizio per le condizioni economiche in cui versava».

Ostacolare le attività della Lilium «anche in considerazione della carenza di strutture similari sul territorio nazionale» in grado di ospitare e assistere minori psichiatrici gravi, avrebbe «pregiudicato i pazienti stessi», per i quali «il servizio non può essere interrotto da un giorno all’altro» e avrebbe arrecato un grave disagio alle famiglie e alle Asl di provenienza, costrette a cercare altre strutture adeguate alle particolari esigenze dei pazienti. La Lilium si era in realtà impegnata a corrispondere quanto dovuto ai lavoratori, a «effettuare interventi di straordinaria manutenzione e di miglioramento delle strutture stesse» e «ad assumersi le spese necessarie per le regolarizzazioni urbanistiche e quelle per l’esercizio dell’attività», garantendo in tal modo l’incremento del valore del patrimonio aziendale. (g.p.c.)

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