«Cerchi un lavoro? Paga» truffati 4 ragazzi pescaresi

Adescati con la promessa di un posto alla Bnl dietro il versamento di 5 mila euro L’associazione Codici vuole i danni: mille vittime in tutt’Italia, raggiro da 6 milioni

PESCARA. Un posto di lavoro dietro lo sportello, l’assunzione nella banca della propria città a tempo indeterminato e la garanzia di uno stipendio da 2 mila euro al mese. L’illusione del sogno piccolo borghese che diventava finalmente realtà: la speranza, dopo anni di precariato, di potersi finalmente comprare un’automobile, pagare l’affitto di casa senza problemi e, perché no, pensare concretamente a mettere su famiglia. Ci hanno creduto fino a sbatterci i denti quattro giovani pescaresi, contattati nel 2010 da un presunto procacciatore d’affari di Roma che ha giocato sulle corde emotive dei ragazzi, ne ha colto la fragilità e la disperazione ed è riuscito a trascinarli nel vortice del concorso-farsa alla Bnl (Banca nazionale del lavoro).

Dietro il pagamento di grosse somme in denaro, che oscillavano dai 3.500 ai 5.000 mila euro, ai ragazzi veniva promesso di superare una serie di test che li avrebbe immessi nel circuito del gruppo Paribas. Una presunta maxitruffa che ha portato all’arresto di quattro persone e ha prodotto, complessivamente, mille vittime in tutta Italia, da Torino a Roma, da Napoli a Pescara. Un meccanismo distorto che ha fatto perno su una crisi nera che continua a tagliare fiducia, sogni e prospettive occupazionali dei giovani.

Gli agenti del commissariato Trevi Campo Marzio di Roma, nel luglio scorso, hanno fatto scattare le manette per Sabrina Palone, 41 anni, promoter finanziaria e dipendente Bnl, con un passato all’ufficio assunzioni, Cristina Sipari, 58 anni, pensionata Bnl, Livia Di Verniere, 65 anni, proprietaria di un atelier romano e, infine, il cosiddetto procacciatore d’affari F. M. di 58 anni che, sfruttando la rete delle proprie autoscuola e le sue conoscenze con i titolari di altre agenzie, avrebbe adescato mille giovani alla ricerca di un posto di lavoro, promettendo di «oliare i meccanismi di reclutamento dell’azienda», garantendo una sicura assunzione e ottenendo lauti guadagni. Si parla di sei milioni di euro che sarebbero spariti nel nulla, probabilmente nascosti. Nella rete sono finiti anche quattro pescaresi, che oggi per vergogna, paura e imbarazzo preferiscono trincerarsi dietro l’anonimato. Ma non hanno abbandonato la battaglia legale.

Anzi, dopo due anni di rinvii e false speranze, hanno chiesto l’aiuto dell’associazione Codici per lanciare una class-action e far sentire la loro voce in sede processuale. «Nei prossimi giorni predisporremo una querela», spiega l’avvocato di Codici Gaetano Di Tommaso, «stiamo valutando la possibilità di costituirci parte civile, ma intanto vogliamo invitare le vittime di tutta Italia ad aderire alla nostra azione collettiva. E’ importante essere uniti in questa brutta vicenda».

I reati contestati sono associazione a delinquere finalizzata alla truffa, falso e ricettazione. I colloqui e i vari quiz di matematica, logica e cultura generale, le prove di comprensione critica e francese, il test Clerical e lo Speedynet sono stati regolarmente effettuati nelle sale riunioni della sede Bnl di piazza Albania, a Roma, proprio per non lasciare adito a dubbi e per tranquillizzare ulteriormente i ragazzi «selezionati». Eppure, come ha avuto modo di accertare la polizia, il gruppo Paribas sarebbe risultato completamente estraneo all’intera vicenda. Solo gli ultimi incontri sono stati effettuati in una location differente, all’hotel Oxford in via Boncompagni, sempre nella Capitale. I presunti autori della truffa, che si presentavano sotto falso nome, ripetevano che c’erano lavori di ristrutturazione in atto nella sede centrale o che la divisione francese della banca stava effettuando verifiche sul personale dei piani alti e che quindi erano tutti molto presi. I ritardi nell’assunzione, invece, erano «tutta colpa del Governo Monti» poiché «con la crisi sta cambiando troppe leggi”.

«La parte più triste di tutta questa vicenda», commenta Domenico Pettinari, segretario provinciale dell’associazione Codici, «è che il reato di truffa prevede pene irrisorie. Qui bisogna che intervenga la politica per mettersi a tavolino e inasprire le pene. Perché oggi si è disposti a tutto pur di lavorare e questo sistema ha portato gli uomini a fare di tutto, anche a pagare delle mazzette pur di vivere dignitosamente».

Ylenia Gifuni

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