CIAO…

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Quella famosa sera di un anno fa è ancora fotografata nella mia mente. Là, in quel dedalo di corridoi dell'Hotel Ritz, dinanzi la Suite 111. Due delicati colpi di nocche sulla porta in ebano e la palpitazione.

L'attesa dell'infinito tempo che scorreva fra il corridoio e la stanza, venne interrotto dal sordo rumore di un'anta che sbatteva all'interno della suite, susseguito dal tuonante passo scalzo sulla moquette. I suoi passi sempre più vicini e sempre più forti aumentavano la mia agitazione. Si aprì la porta. 

«Ah è lei! Entri pure»

«Le chiedo scusa per l'orario Lucio, come ben sa» dissi.

«Non si preoccupi, si accomodi» mi interruppe.

Entrai. Poggiai la mia valigetta e mi sedetti con una postura composta. Lui si venne a sedere nella poltrona di fianco alla mia. Aggiustò il lembo del pantalone del pigiama, mi lanciò uno sguardo veloce e con la mano si riaddrizzò il parrucchino.

«Penso immagina perché io sia qui» spaccai il silenzio. «Non voglio portarle via tempo mi limiterò ad una sola domanda»

«Continui»

Tirai fuori dalla tasca il mio taccuino e cercai le parole.

«Non so quale sia il suo segreto, ma questa sera lei è riuscito ad entusiasmare una Piazza grande come quella di Montreux, il pubblico la ama»

Mi fissò con occhi cupi. Per un attimo credetti di sfumare. Cominciò a parlare.

«Tutta la vita l'ho trascorsa a riflettere, scrivere e recitare i miei testi. Sono stato un poeta ballerino capace di danzare fra il significato e la rima, fedele al mio pubblico, fedele alla mia Itaca, Bologna»

Rallentò il discorso. Sollevò la testa e oltrepassò con lo sguardo il davanzale della finestra. Pose attenzione sul sottostante mantello blu notturno del Lago Lemano. Sullo sfondo la Francia, più in la Ginevra. 

«Se contassi i miei passi sopra ad ogni palco, probabilmente sfiorerebbero mille miglia, eppure ogni volta che il mio piede si staccava dall'ultimo scalino e mi proiettava dinanzi al mio pubblico, mi sentivo come il vento; le mie parole arrivavano invisibili alle persone, sfiorandole e pungendole. Leggero e magari anche più alto. Ho sempre sognato qualche centimetro in più, ma sono bello così» concluse sghignazzando.

Sorrisi con lui, ero immerso nel suo discorso. Per un attimo la vita dentro l'Hotel si fermò. Cessavano i rumori dei trolley sul parquet; rimaneva solo il fruscio delle onde del lago come colonna sonora di quel momento, onde che si suicidavano sulle mura della banchina, evolvendosi in milioni di particelle d'acqua.

«L'altezza non è metà della nostra bellezza» aggiunsi.

Lui avanzò «Il bello è l'emozione che provi ridendo con un caro amico; l'amore. E' quando si aspetta quell'anno che verrà, per ricominciare, è quando si evitano i viaggi organizzati preferendo loro riflessivi viaggi in treno. E' il fuggire da quel pomeriggio in ufficio, il recarsi la domenica al cinema; è il guardare il cielo, navigando con la testa fra le stelle..» Fu un bellissimo discorso.

Al termine, Lucio si alzò dalla poltrona, andò verso il pianoforte. Sollevò l'anta e fra le note liberate cominciò il suo canto: "qui dove il mare luccica e tira forte il vento.."

Presi la mia valigetta e mi spostai verso la porta, mantenendo sempre il contatto visivo. Lucio si accorse e voltandosi verso di me abbassò lentamente gli occhi come per dirmi "Ciao".

La mattina seguente lo avrebbero trovato steso, ai bordi del letto, privo di vita. La sua non è stata una morte, la sua è stata una trasformazione. Ora è vento, che viaggia fra le persone sottoforma di una canzone, sfiorando e commuovendo.

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