CIAO NORA

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«Cara Nora,

eri vestita di rosso. Ero lì per la laurea di Giulia. Non immaginavo che eri tu l’amica di cui tanto mi parlava. Dovevo andare. Volevo salutarla. Quando Giulia ci presentò la musica era forte. Si confondeva con i battiti del cuore. Mi guardavi con i tuoi occhi celesti. Per sentire il tuo nome mi ero avvicinato così tanto che mi rovesciasti il Campari sui pantaloni, ricordi?

Ti dissi che non potevo perdonarmi di non averti fatto  finire quel Campari e ti chiesi il numero».

Lo scroscio dell'acqua scivola via inghiottito dal silenzio.

La porta si apre.

Un fascio di luce inonda il pavimento. Riflette sulle pareti. Sale sul copriletto a due piazze.

«È stato bello rimediare a quel piccolo incidente, come lo è stato ogni giorno passato con te.

Le vacanze, i week-end dai miei, venirti a trovare alla scuola per agenti.

Guardavo l'orologio e mi rendevo conto che il tempo insieme a te era già finito. Ma ne volevo ancora. Ti vedevo e non avevo bisogno di altro».

Nora ha un accappatoio Gabel a nido d'ape, un asciugamano a reggerle i capelli. Cammina a piedi nudi verso l'armadio.

Silenzio.

Poi si sente lo scorrere di un cassetto. Un tonfo sordo. Il respiro di un corpo che sprofonda su un letto.

Sui fianchi di Nora, in controluce, si disegna uno slip di merletto. Sui suoi piedi, uno per volta, scorrono dei calzini. Anche questi sono neri.

Nora infila il pigiama di cotone misto cashmere.

«Eri appena entrata nei R.I.S.. Mio padre mi aveva ceduto la direzione dell'azienda. Non vedevo altro futuro che con te.

Il giorno più bello della mia vita profumavi di chiodi di garofano e arancio. Ma sono tanti i sorrisi che sono seguiti.

Ti sono grato.

Di ognuno».

La luce si accende. Nora prende una busta sul comodino. Estrae un foglio. I polpastrelli creano un fruscio ruvido.

«Quando Giulia ti veniva a trovare mi faceva piacere vedervi insieme. Vi lasciavo che parlavate e, quando rientravo, eravate ancora lì.

Era bello tornare a casa e ascoltare le vostre risa, partecipare ai vostri scherzi».

Sul comò ci sono scatole di farmaci per cardiopatici. Amiodarone 200 mg, Atenol 100 mg.

Nora ripiega in tre il foglio e lo posa sul comodino.

Accanto c'è una pistola.

Accanto una cornice di argento con il volto di un uomo.

«Nei mesi in cui sei stata lontana ci sei mancata molto.

Lo so.

È stato mio l'errore.

Capisco il tuo non rispondere più al telefono. Aver portato via tutte le tue cose. La lettera di divorzio».

Il volto nella cornice di argento è lo stesso della foto sul comò.

In quella c'è anche Nora.

È vestita di bianco.

Sul comò c'è una confezione di pillole azzurre. Il flacone è quasi vuoto.

È poggiato su un quotidiano.

«Sai che, in ogni caso, non ti farei mancare nulla.

Non capisco perché mi abbia voluto rivedere.

Perché abbia desiderato da me un figlio che forse non conoscerà mai veramente suo padre...»

La foto sul giornale è la stessa della cornice.

Il titolo dice “Giovane imprenditore fulminato da attacco cardiaco”.

Nora con una mano sfiora la pancia. Sorride.

Sottotitolo “Dalle indagini risulta una tragica fatalità”.

Scosta il copriletto. Il materasso crepita. La luce si spegne.

Sul display della radiosveglia appaiono i numeri 23 e 45.

«Ma, ogni tuo desiderio, viene prima del mio».

Il display segna 0:17.

Schiudo l'anta dell'armadio.

Procedo a tentoni.

Il pavimento è ghiaccio.

Tasto sopra il comodino. Lentamente. Senza far rumore, sollevo un oggetto. È pesante. La superficie è liscia. In rilievo sento delle zigrinature. Cerco una levetta con il pollice.

La sposto dolcemente.

“Clicc...”

L'aria fredda mi attraversa le narici.

“Nooraa?!”, sussurro.

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