Città Sant'Angelo, ecco come è esplosa la fabbrica dei fuochi

La tragedia nella ditta Di Giacomo: errore umano e sicurezza sotto accusa nella fabbrica dove hanno perso la vita cinque persone. Il tutto spiegato nella relazione di 199 pagine del Perito

PESCARA. «Le distanze di sicurezza esterne e interne erano insufficienti in relazione al quantitativo di licenza di fuochi d’artificio. Numerose», scrive il consulente della procura, «sono le inadempienze che hanno aggravato l’entità dei danni».

«Sicurezza ed errore umano». La sicurezza della fabbrica di fuochi d’artificio di Città Sant’Angelo in cui hanno perso la vita cinque persone finisce sotto accusa nella relazione di 199 pagine che il consulente balistico Paride Minervini ha depositato rispondendo ai due quesiti del pm Andrea Papalia: «La ditta dei Di Giacomo era conforme alle normative e alle licenze e i luoghi erano rispondenti alle prescrizioni?»; «Qual è stata la causa dell’esplosione?».

Sarebbe stato «un movimento errato» a innescare la prima esplosione della fabbrica, scrive il capitano Minervini andando poi a ritroso, ripercorrendo la storia della ditta, passando al setaccio tutte le licenze, i controlli della questura, l’allarme del ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio ed elencando le norme rispettate e quelle no. Così, nella sintesi finale, il dramma del 25 luglio 2013 costato la morte a cinque persone è legato a un doppio filo: da un lato la fatalità spiegata con «la caduta di un contenitore con materiale pirotecnico che ha provocato la prima esplosione» e dall’altro «l’errata conduzione da parte del titolare della licenza della fabbrica e del deposito tale da compromettere la sicurezza da probabili esplosioni accidentali».

leggi anche: Fabbrica di fuochi artificiali esplosa Tragedia a Città Sant'Angelo La cronaca della tragedia minuto per minuto L'incidente in contrada Villa Cipressi, lungo la strada che porta a Elice. Morti Alessio Di Giacomo, 22 anni, il padre Mauro (45), titolare della ditta esplosa, e altri due parenti: Roberto (39) e Federico (50). Questi ultimi tre risultavano dispersi

«Chi fa questo mestiere, per quanto è pericoloso, lo sa che deve mettere in conto che si esce la mattina e che non si sa se si torna a casa la sera ma io voglio continuare questo lavoro», diceva poco tempo al Centro fa Giordano Di Giacomo, il 24enne miracolato che aveva deciso di ripercorre quell’inferno del 2013, quando la fabbrica di famiglia a Villa Cipressi viene avvolta dalle fiamme e spazzata via dall’esplosione. A perdere la vita erano stati quattro componenti della storica famiglia di fuochi d’artificio: Alessio Di Giacomo, 22 anni, corso verso il padre Mauro (45) dopo i primi boati e i primi incendi e verso le altre vittime, il papà di Giordano, Federico (50), e il cugino Roberto (39). Tre mesi dopo, anche il vigile del fuoco Maurizio Berardinucci, 47 anni, non ha retto all’onda d’urto dell’esplosione che l’aveva travolto.

«Licenze in regola e no». Perché quella tragedia? A spiegarlo è stato il capitano Minervini che, quell’estate, passò più di due mesi a Villa Cipressi raccogliendo i reperti, facendo rilievi topografici e fotografici, acquisendo tutta la storia della fabbrica iniziata nel 1982 scandagliando, poi, tutte le licenze. «L’area della fabbrica sottoposta a licenza di pubblica sicurezza era idonea all’attività svolta e le attività conformi alla normativa», scrive il capitano nella consulenza, «mentre all’interno della proprietà dei Di Giacomo, fuori dall’opificio erano svolte una serie di attività produttive e di deposito di fuochi pirotecnici totalmente prive di licenza di pubblica sicurezza».

«Esplosivo nell’abitazione». Nel corso dei numerosi sopralluoghi il consulente ha trovato e catalogato svariate tipologie e quantitativi di materiale esplosivo che, in alcuni casi, sarebbe risultato non conservato in maniera idonea oppure non autorizzato come nel caso «di 33 detonatori a miccia di origine militare che non potevano essere detenuti».

La perizia, poi, analizza tutti i luoghi che componevano la fabbrica di fuochi d’artificio: dal deposito, alla fabbrica alla rimessa degli attrezzi di lavoro. «I caselli di deposito esplodenti», scrive, «non avevano una struttura di contenimento idonea a contenere in caso di esplosione gli effetti della stessa. Infatti l’onda d’urto ha coinvolto le abitazioni a monte della fabbrica». Il materiale pirotecnico, secondo il perito, sarebbe stato trovato «nell’abitazione del titolare e quindi senza autorizzazioni» oppure «in una stanza adibita a locale televisione». Se da un lato la consulenza elenca, quindi, le molte licenze e le norme rispettate dalla ditta dall’altro però getta un ombra sulla sicurezza rispondendo, infine, all’ultimo quesito, quello collegato alla causa più stretta dell’esplosione e in cui è la fatalità a parlare.

«La prima esplosione da un movimento errato». «La giusta causa esterna che ha provocato l’accensione del materiale pirico potrebbe essere addebitata a un movimento errato che ha innescato la prima esplosione», dice il capitano.