Corriere dalla gioia al pianto: frammento perduto per sempre

Il presidente dell’associazione culturale della Jenca: «Confido negli investigatori ma ci sono poche speranze»

L’AQUILA. Ha seguito passo passo le ricerche degli inquirenti. Una giornata intensa, quella di ieri, per Pasquale Corriere, presidente dell’associazione culturale «San Pietro della Jenca», culminata con la notizia del ritrovamento di tre pezzi della teca che conteneva la reliquia di Giovanni Paolo II. A mancare all’appello, però, è quel minuscolo pezzo di stoffa, intriso di sangue, dell’abito che il defunto pontefice indossava il 13 maggio 1981, quando in piazza San Pietro subì l’attentato di Mehmet Ali Agca. Così Corriere racconta la sua convulsa giornata.

La svolta nelle indagini si è avuta con il ritrovamento di tre pezzi del reliquiario. Tuttavia proseguiranno le ricerche della reliquia di Karol Wojtyla. È fiducioso in un esito positivo della vicenda?

«Sono passati quattro giorni dal furto della reliquia a San Pietro della Jenca e, se come dicono i tre fermati, il pezzetto di stoffa con il sangue di Wojtyla è stato gettato via, temo possa essere andato perso. Sarà molto difficile ritrovarlo. Confido molto nel lavoro degli inquirenti, anche per capire come sono andati realmente i fatti. E perché i tre giovani hanno rubato la reliquia. Ho ancora il sospetto che il furto possa essere stato commissionato, dato che non sono state forzate le cassette delle offerte per prelevare i soldi».

Come si sente adesso?

«Un po’ più sereno, ma ancora turbato e sotto choc per quanto accaduto. La profanazione del luogo sacro a Giovanni Paolo II per me è un profondo dolore: un danno terribile per la comunità aquilana e dei fedeli».

Eppure lei intravede in tutto ciò un segno divino.

«L’Aquila è stata profondamente colpita dal sisma del 2009. Ha pagato un tributo altissimo di vittime ed è salita, per questo, agli onori delle cronache. A distanza di cinque anni accade un nuovo fatto sconvolgente con il furto della reliquia di Giovanni Paolo II. E si torna a parlare di questa città e del piccolo santuario sul Gran Sasso, che adesso tutto il mondo conosce. Spero che possa nascere, come da un seme gettato nella terra fertile, qualcosa di importante per il nostro territorio. Un nuovo stimolo per lo sviluppo del turismo religioso e per la diffusione del messaggio del Santo Padre nel mondo».

Negli ultimi giorni intorno alla sua persona si sono addensate delle nubi: qualcuno ha parlato di “mossa architettata ad arte”. Cosa risponde?

«Supposizioni che mi hanno addolorato. Niente di più falso e il lavoro degli inquirenti lo ha dimostrato. Continuerò ad operare perché la fama del santuario di Giovanni Paolo II, alle falde del Gran Sasso, possa crescere sempre più. E con essa possa diffondersi il messaggio di pace e riconciliazione del Santo Padre».

Monica Pelliccione

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