il dopo referendum

D'Alfonso: «Ammetto la sconfitta, continuo con più forza»

Intervista al presidente della Giunta regionale: in Abruzzo non si è combattuto nei territori per avere un risultato migliore

PESCARA. Presidente Luciano D’Alfonso, il referendum è stato una mazzata.

«Nella mia carriera politica non ho mai perso un’elezione ma ho perso due referendum: questo e quello sul piano traffico quando ero sindaco di Pescara, due anni prima la rielezione. Ma mi nutro di difficoltà. E non nascondo quella intervenuta con l’esito del voto a livello nazionale, e non nascondo la delusione al livello regionale, Ma questo mi dà più energia e carica».

Perché il Sì ha perso in Italia?

«Mentre il Sì richiedeva spiegazione e merito, il No si sedeva sulla pancia dei cittadini e questo va compreso fino in fondo, poiché ho avuto la sensazione che tutte le classi dirigenti sono state apparentate all’establishment. E’ stato un voto che ha voluto distanziare la cittadinanza dall'esito del quesito».

Riconoscerà che anche il titolo del quesito lisciava il pelo all’antipolitica.

«Ma mentre il Sì si è soffermato sul merito del quesito e sul merito della riforma, il No in molti casi ho sentito dire che era per difendere l’articolo 1 e 2 della Costituzione che con il voto non c’entrava nulla. Il No non invocava il ragionamento, ma è stata una reazione che si colloca più in corrispondenza della cinta».

Perché il risultato in Abruzzo è stato così pesante per il Sì?

«In regione non si è determinata una condizione di piena mobilitazione».

Perché?

«In tanti hanno pensato che la campagna fosse nazionale e non c’è stato sul territorio quello che il territorio sa fare quando è sottoposto al voto».

Lei per qualcuno si è speso anche troppo.

«Mi sono impegnato come mi sono sentito molto convocato dal livello di impegno del presidente Renzi e della squadra dei ministri, poiché ho avuto da loro una straordinaria disponibilità sui problemi concreti dell’Abruzzo. Per questo mi sono mobilitato molto: sia perché ho creduto della riforma, sia per esprimere reciprocità».

E ora che cosa si aspetta?

«Sosterrò l’iniziativa politica che fa riferimento all’esperienza di Renzi. E poi il governo che si insedierà si dovrà occupare con impegno delle questioni abruzzesi, perché io non lascio scampo. Non perché minacci, ma perché presento dossier convincenti».

Si pente di qualcosa che ha fatto o detto in campagna elettorale? Penso all’appello ai sindaci, alla lettera agli abruzzesi...

«No, se tornassi indietro lavorerei con anticipo condividendo il lavoro con un numero crescente di persone, facendo più rete con gli amministratori».

Vede contraccolpi diretti del voto sulla sua maggioranza?

«Non ne vedo. Non abbiamo il tempo di coltivare ceci e lenticchie. La cosa che invece voglio mettere in evidenza è che l'Italia si deve interrogare sul fatto che governare non è un gioco e adesso si apre una fase oltremodo delicata».

Nella sua maggioranza ci sono stati dei No. Penso al sottosegretario Mazzocca, esponente di Sinistra Italiana.

«Mazzocca l'ha fatto con la civiltà che nove volte su dieci lo caratterizza».

Ncd invece ha scelto il Sì. Entrerà finalmente in maggioranza?

«Con Ncd, che preferisco chiamare Area popolare, abbiamo riscontrato una grande lealtà da parte dei parlamentari. E per quanto mi riguarda la vicenda democratica-istuzionale si costruisce su innovazione, dedizione e allargamento».

Come vede il futuro del Pd?

«Lo vedo molto improntato sulla modernizzazione. Dobbiamo essere sempre più all’altezza della sfida della modernizzazione».

Che cosa intende?

«Bisogna essere capaci di modernizzare l’economia, affinché diventi un’opportunità per tutti. Avendo precisi riferimenti culturali, come il tema dell’uguaglianza per quanto riguarda le opportunità di partenza, e quello della libertà. Su questi due fronti ho visto Renzi molto impegnato. Probabilmente non ha avuto tempo sufficiente. In futuro dovremo evitare votazioni ripetute a metà cammino, perché la gravidanza era ancora in atto e lui aveva bisogno di altri due anni».

Renzi ha sbagliato a personalizzare il voto?

«Lui non sa essere neutro e se ci avesse provato non sarebbe stato autentico. Probabilmente se avesse dedicato la sua energia anche al partito avrebbe avuto una maggiore condivisione delle sue fatiche. Personalmente ritengo che l’Italia abbia ancora bisogno di lui».

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