Del Turco e le tangenti «Angelini spara a salve Commissariate Villa Pini»

A 16 mesi dall’arresto e dalla caduta della Regione l’ex governatore si prepara al processo su Sanitopoli

COLLELONGO. Ha recuperato il filo di barba dei tempi andati, «quando facevo il sindacalista». Trascorre le ore in famiglia, incontrando amici, dipingendo. In attesa del confronto più importante, quello con la giustizia che 16 mesi fa lo ha spodestato dalla poltrona di governatore della Regione, con la pesantissima accusa di aver incassato tangenti milionarie dall’imprenditore della sanità privata Vincenzo Angelini. Ottaviano Del Turco ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini su Sanitopoli, la più importante inchiesta sul malaffare in Abruzzo, che conta 33 indagati e due società, che ha tirato giù la giunta regionale di centrosinistra e picconato, con pesanti responsabilità, anche il centrodestra. Ma l’ex governatore, a 16 mesi dagli arresti, si sente sollevato. E, in questa intervista, nella sua casa di Collelongo, spiega perché sia convinto di uscire indenne dal processo.

«L’avviso di conclusione indagini conferma che la giunta che ho presieduto non può essere accusata di connivenza con gli interessi con le cliniche private».
Ma la procura l’accusa di 21 concussioni.
«Una brillante operazione di Angelini per spiegare dove erano andati a finire i soldi spariti dal bilancio della clinica. Non c’era sistema più furbo che dire di avere immolato i suoi denari sull’altare della corruzione per la vecchia giunta di centrodestra e da povero concusso per quella di centrosinistra».

Che cosa pensa delle accuse al centrodestra?
«Tutti sapevano come era andata la prima cartolarizzazione e gli ingenti guadagni che quel modello aveva prodotto per tutto il sistema sanitario abruzzese. Mi colpisce come siano spariti gli attori istituzionali. Chi ha fatto l’accordo sulla prima cartolarizzazione? Chi ha firmato, per conto delle cliniche private, un accordo che prevedeva un aumento del 30 per cento di tutte le prestazioni e l’autocertificazione, per cui ognuno poteva decidere quanti soldi chiedere alla Regione? Ho sempre detto che quel meccanismo aveva generato un buco che oggi Chiodi definisce insostenibile. Con me, le leggi della Regione sono passate al vaglio della commissione sanità e di un personaggio rigoroso come l’avvocato Antonella Bosco. Non erano invenzioni di Del Turco o Mazzocca».

Che cosa l’ha colpita dell’inchiesta su Sanitopoli?
«L’idea folle di sponsorizzare un motociclista di serie B per 21 milioni (il caso Humangest, ndr). A nessuna persona sana sarebbe venuta in mente di dare a un motociclista una cifra che nemmeno Valentino Rossi poteva prendere. Durante l’incidente probatorio, quando Angelini ammette di avere commesso una sciocchezza e il procuratore gli chiede dove siano finiti quei 21 milioni, risponde: “Non ricordo”. Può accadere di non ricordare dove si trovino 21 milioni? E questa è la vicenda più curiosa. La sua prima dichiarazione è stata: “Non ho mai dato una lira a Del Turco né agli uomini della sua giunta”. Considerato l’alto livello che la procura attribuisce alla collaborazione di Angelini, mi sono chiesto come mai questa fiducia sulla lealtà della sua collaborazione non sia stata ricambiata riportando in Italia parte consistente dei soldi, che sono molto più di 21 milioni».

Lei metterebbe la mano sul fuoco su tutti gli uomini della sua giunta?
«Avendo seguito il caso sanità sotto la mia responsabilità, sono in grado di affermare l’estraneità del mio assessore, dei consiglieri regionali, del direttore dell’agenzia sanitaria regionale Di Stanislao, persone di valore straordinario che hanno presentato un piano che rimetteva in discussione i guadagni facili degli anni precedenti».
Perché lei ha voluto incontrare il pg Amicarelli a indagini in corso?
«Circolavano voci sulle indagini. Chiesi ad Amicarelli di spiegarmi perché l’attività sulla sanità della giunta precedente fosse passata totalmente sotto silenzio nonostante che alcuni provvedimenti presi potessero giustificare un’inchiesta, mentre si indagava su una giunta che stava mettendo ordine e ripulendo un sistema sbagliato. Non ho chiesto un suo intervento né di essere sollevato dalle intercettazioni».

Un anno fa, lei parlò di menzogne dei poteri forti. Ma poi davanti ai pm è rimasto in silenzio.
«Ho obbedito a un suggerimento dei miei avvocati. Ma queste cose stavano sui giornali da tempo, ho attizzato 20 fuochi in questa regione ed è la cosa che mi hanno sempre rimproverato. Ho pestato nervi dolenti sul palazzo della Regione, sull’autostrada Roma-Pescara, sulla ferrovia, sulla riabilitazione motoria concentrata per l’80 per cento nella provincia di Pescara e Chieti. L’Abruzzo ha dovuto fare i conti con il clientelismo da quattro soldi e ha pagato in termini di arretratezza».

Che cosa pensa della vertenza Villa Pini?
«Con la decisione della procura di sequestrare tutti i beni di Angelini, questi sono stati sistemati in una fortezza al momento inespugnabile. La rabbia dei dipendenti è la consapevolezza che non è passata l’idea di commissariare Villa Pini. Come dice Chiodi, al punto in cui è arrivato il debito sanitario in Abruzzo, c’è solo da portare i libri in tribunale. Per quanto mi riguarda, meno male che dalle accuse sono sparite le favole iniziali: non ho appartamenti a piazza Navona, non ho costruito un castello a Collelongo da regalare ai miei fratelli. Allora mi apparvero accuse umilianti, ora mi sembrano uno scherzo. Dell’impianto accusatorio, dopo 16 mesi restano solo le parole di Angelini».

Ci sono i viaggi che dice di avere fatto a Collelongo. Quante volte è venuto a trovarla?
«Se avessi saputo di dover rispondere un giorno a questa domanda, me le sarei segnate tutte. Una volta Angelini ha detto 56, più di mia moglie da Roma, poi è sceso a 13. Ha detto pure che la notte del 16 gennaio, la festa di Sant’Antonio, venne qui per darmi 250 mila euro, quando c’erano tantissime autorità dello Stato. Per non parlare dei record mondiali di velocità per coprire il tragitto Chieti-Collelongo: 50 minuti andata e ritorno».
Che cosa le chiedeva?
«Era preoccupato perché procuratore e finanza lavoravano giorno e notte per metterlo in galera. Era convinto che, da ex ministro delle Finanze, potessi aiutarlo. Voleva conoscere la sua situazione. Ma io non ho mai esercitato pressioni. In un’occasione, mi chiese persino di parlare con il vescovo di Avezzano per ritirare le suore da una clinica. Me ne guardai bene».

Ma lui ha detto di avere portato i soldi.
«L’ho appreso solo quando sono stato arrestato. Ma quelle accuse piene di contraddizioni mi hanno dato la serenità per affrontare l’esperienza più dura: il carcere».
Chi le è stato più vicino e chi le ha voltato le spalle a livello politico?
«Berlusconi disse che si trattava di un teorema giudiziario. Il più violento e solidale è stato Cossiga: “Del Turco si suicidi, così fa scoppiare la vergogna di questo caso”. Gli ho detto che mi aveva chiesto troppo. Non ho più sentito Veltroni e gran parte del gruppo dirigente del Pd. Sono stati sottoposti a un bombardamento di informazioni, però non allevia il sentimento di disprezzo nei confronti di molti di questi. Solo Legnini ha cercato di esplorare un’altra verità. Mi auguro che già davanti al gup questa vicenda finisca. Oppure che il processo sia veloce. Ma niente prescrizioni».

Che cosa pensa dell’operato di Chiodi?
«Per ragioni di buon gusto, non posso dare giudizi. Lo farò quando sarò mondato da tutte queste accuse assurde. Mi auguro solo che sia ancora più coraggioso di me. Noi avevamo già preparato gli atti per la ridefinizione degli accordi con le cliniche: chiunque avesse voluto lavorare con la Regione, avrebbe dovuto accettare di guadagnare un po’ meno. Gli arresti hanno bloccato tutto. Ma io sono garantista, anche con il centrodestra. E con D’Alfonso. Tutti sanno dei pessimi rapporti con lui. Su facebook ho scritto che fino a prova contraria, è un uomo innocente».

Che cosa pensa della ricostruzione dell’Aquila?
«La cosa che Berlusconi sa fare meglio è costruire case e nei confronti del popolo aquilano è onesto ammettere che è stato fatto qualcosa di più. Il mondo politico aquilano mi è apparso molto servile nei confronti di Berlusconi e Bertolaso, salvo lamentarsi quando questi tornavano a Roma. Berlusconi vuole parlare con gente con la schiena dritta e penso che si sia persa una grande occasione. A furia di piangere, lo si è finito per irritare».

Come passa il tempo?
«Le rispondo come Moretti: vedo gente, faccio cose, dipingo. Tutti pensavano che avrei fatto il deputato europeo, ma ho risposto di no. Per ora. Mica faccio decidere ad Angelini dove finisce la mia dignitosissima storia da dirigente sindacale, alla commissione antimafia, da ministro delle finanze. Nell’immediato c’è l’urgenza di uscire da questa storiaccia. Sto scrivendo un libro. Nonostante l’anno e mezzo horribilis che ho alle spalle, voglio mandare un messaggio di speranza».

E al suo grande accusatore che messaggio lancia?
«Ad Angelini? Capisco che si possa fare tutto pur di salvare la propria azienda, i soldi accumulati e messi da parte. Ma, come diceva quel comico, qui si esagera».