Discarica di Bussi, riparte il processo ad ostacoli: conto alla rovescia per l’udienza

Lunedì 19 dicembre il caso della discarica approda alla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila dopo le assoluzioni del 2014. L’accusa nelle mani dei pm Como e Castellani. Che sosterranno in aula la tesi del disastro doloso

PESCARA. Una lunga storia. Che sta per arricchirsi di un nuovo capitolo. Saranno Romolo Como e Domenico Castellani, magistrati della procura generale dell’Aquila, a sostenere l’accusa nel processo d’appello sulla maxi discarica di Bussi che inizierà lunedì prossimo. Dopo la prima sentenza del giudice Camillo Romandini che, il 19 dicembre 2014, ha assolto i 19 imputati dal reato di avvelenamento delle acque e derubricato il disastro doloso in colposo spalancando la strada alla prescrizione, si scriveranno pagine nuove nella storia della discarica abusiva più grande d’Europa con le sue 600-700 tonnellate di rifiuti tossici nascosti sotto terra.

È una storia lunga quella che porta alla sentenza di Romandini: il 9 febbraio del 2017 ricorrerà il decimo anniversario del primo sequestro a Bussi quando la benna di una ruspa iniziò a scavare in località Tre Monti e dal terreno si sprigionò una nuvola di fumo rosso che investì gli agenti del corpo forestale dello Stato. L’indagine nacque quasi per caso quando, prima la polizia provinciale e poi la forestale, si misero sulle tracce di sostanze inquinanti nei pozzi dell’acqua potabile di Colle Sant’Angelo a Tocco da Casauria. Raccogliendo testimonianze, gli investigatori della forestale, all’epoca guidati dall’allora comandante Guido Conti, arrivarono a scoprire proprio la discarica di Tre Monti, vicino ai fiumi Tirino e Pescara. Da quel momento, l’indagine, coordinata dall’allora pm di Pescara Aldo Aceto, prese un’altra piega e da storia di provincia s’impose come caso nazionale grazie ai rifiuti tossici, chiusi nei sacchi di plastica con il logo Montedison e messi sotto terra: l’immagine dei forestali con le maschere antigas sul volto resta il simbolo del disastro di Bussi.

Due anni dopo, la procura chiese i primi rinvii a giudizio per avvelenamento delle acque a carico di 19 imputati, quasi tutti dirigenti Montedison. Il 10 maggio 2011 arrivarono i rinvii a giudizio ma con riqualificazione del fatto da avvelenamento ad adulterazione di acque. E questa svolta è il primo intoppo del processo di Bussi: le difese degli imputati sollevarono il caso dell’incompetenza del tribunale di Pescara e, siamo al 26 marzo 2012, gli atti tornarono alla procura che dovette riformulare una nuova richiesta di processo alla Corte d’Assise di Chieti. Da questo momento, 12 aprile 2012, passò oltre un anno per l’apertura del processo.

E il 7 febbraio 2014, a dibattimento ormai iniziato, ecco un altro colpo di scena: ricusato il presidente della Corte, Geremia Spiniello, a causa di dichiarazioni in televisione sul processo in corso. Spiniello è stato sostituito da Romandini e il giudizio si è esaurito in tre mesi. Nella requisitoria, i pm Anna Rita Mantini e Giuseppe Bellelli, subentrati ad Aceto nel frattempo approdato alla Corte di Cassazione in qualità di consigliere, hanno chiesto condanne da 4 a 12 anni e 8 mesi di reclusione. Pesanti le richieste delle parti civili: il ministero dell’Ambiente pretende 1.376.954.137 euro; la Regione Abruzzo 500 milioni; la presidenza del Consiglio dei ministri un milione «in relazione alla grave compromissione dell’immagine dello Stato»; 3.115.576,83 invece la richiesta del commissario per il bacino Aterno-Pescara.

Ma la sentenza riserva un’altra sorpresa con l’assoluzione dal reato più grave, l’avvelenamento: secondo la Corte presieduta da Romandini, il superamento delle soglie degli inquinanti nelle acque non implica l’avvelenamento. Questo il passaggio chiave: «L’inquinamento della falda non comporta necessariamente l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione, occorrendo procedere a una verifica delle concentrazioni che le sostanze pericolose hanno assunto nell’acqua concretamente destinata all’alimentazione umana. Si potrebbe affermare che l’acqua distribuita ai comuni della Val Pescara era avvelenata solo ove si fosse riscontrata una presenza di contaminanti tali da determinare un reale pericolo per la salute umana».

Per quanto riguarda, il disastro doloso, il giudice lo ha derubricato in colposo ed è scattata la prescrizione. Una decisione inaccettabile per la procura che ha presentato ricorso in Corte di Cassazione (18 marzo 2016): la Cassazione ha convertito il ricorso in appello e trasmesso gli atti alla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila dove il processo per 18 imputati ripartirà fra tre giorni: due udienze di fila, lunedì e martedì, per sbrigare le questioni preliminari per poi entrare nel vivo a gennaio. Con i pm pronti a sostenere ancora la tesi del disastro doloso. Si discuterà anche il ricorso Montedison contro la prescrizione: il colosso della chimica cerca l’assoluzione dal reato di disastro. Perché con la prescrizione resterebbe in piedi l’obbligo di portare a termine la costosissima bonifica.