Discarica, storia infinita: bonifica attesa da 9 anni

Bussi sul Tirino. Ci sono finanziamenti per 45 milioni di euro e l’impegno di Solvay a eseguire i lavori all’interno del sito, ma la burocrazia blocca l’avvio

BUSSI SUL TIRINO. La discarica dei veleni di Bussi compie nove anni. Fu scoperta nel marzo del 2007 dopo tre anni di indagini da parte del Corpo forestale allora diretto dal comandate Guido Conti. Dai prelievi lungo l’asta fluviale del Pescara risultò che le acque contenevano sostanze altamente tossiche non attribuibili ai processi lavorativi d industrie e opifici operanti nei territori adiacenti il corso del Pescara. Dalle individuazioni di quelle sostanze, l’esacloroetano, il tetraclorobenzene, l’esaclorobudadiene, cloroformio, metalli pesanti e vari composti clorati, tanto per ricordarne qualcuna, si risalì all’industria chimica di Bussi, l’unica in grado di processare quelle sostanze. Venne alla luce quella che fu definita una delle discariche più grandi d’Europa con i suoi circa 4 ettari di estensione situata lateralmente al fiume Pescara a partire dal bivio di Bussi sulla Tiburtina, con un accumulo di materiali altamente tossici e micidiali per la salute umana, profonda circa 6 metri e contenente circa 240mila tonnellate di veleni. Numeri che da allora hanno marchiato la discarica Tremonti rimasti inalterati fino ad oggi. Dalla scoperta, la storia della discarica è legata imprescindibilmente al Commissario governativo del bacino Aterno Pescara, l’architetto Adriano Goio, il cui impegno nella ricerca di una soluzione tampone è stato massimo, anche se non tutti gli interventi hanno portato ai risultati sperati. Certamente, la sua opera di emergenza per la distribuzione di buona acqua potabile fu riuscita. In poco tempo realizzò un pozzo all’ingresso di Bussi per emungere da una falda a monte dei veleni, acqua da aggiungere a quella dell’acquedotto Giardino per sopperire alla chiusura dei pozzi Sant’Angelo dai quali si estraeva acqua dalla falda profonda sotto l’alveo del Pescara, contenente il percolato avvelenato della discarica Tremonti. Acque fino ad allora distribuite alle 500 mila persone nei centri a valle fino alla costa. Ancora da verificare la validità degli interventi successivi: il“cupping” e la “palancolata”, opere che avrebbero dovuto impedire il passaggio dei contaminanti nella falda e nel fiume, ma che dalle ultime analisi dell’Arta risultano superare ancora oggi di migliaia di volte i limiti di legge. Opere che sono costate vari milioni di euro. Successivamente si scoprono siti contaminati anche dentro il perimetro della fabbrica chimica e in aree attigue (2A e 2B) che per essere riutilizzate necessitano di messa in sicurezza e bonifica. Opere che godono degli opportuni finanziamenti: 45 milioni nelle mani del commissario Goio e l’impegno di Solvay di eseguire il lavoro interno al sito per circa 5 milioni. Un programma che va avanti e che, dopo nove anni, attende ancora che passaggi burocratici possano dare il via libera ai lavori e ridare dignità a un territorio e alla sua comunità di gente rimasta senza lavoro. Si propone anche un nuovo investitore, la Filippi Farmaceutica, dopo l’annuncio della Solvay di voler lasciare il sito che attende il via libera promettendo 300 posti di lavoro. L’altra faccia della medaglia quella consumatasi nella aule di Tribunale, con gli 11 imputati per disastro ambientale assolti per decorrenza dei termini, l’altra che ha visto anche assolti i dirigenti dell’Aca e uno della Asl, accusati di aver distribuito acqua contaminata seppur diluita, per abbassare i contenuti tossici sotto i limiti di legge, procedimenti passati prima alla derubricazione del reato da doloso a colposo e poi per la prescrizione dei termini.

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