Domenici: «Angelini aveva la fama di grande corruttore»

Processo sanità, l’ex assessore imputato: «L’imprenditore conosceva in anticipo le decisioni della Regione»

PESCARA. «Mi contestano di aver preso 500 mila euro da Vincenzo Angelini ma se fosse vero dovrei essere condannato per stupidità perché Angelini aveva fama di grande corruttore». Sussulti in aula, nell’udienza di ieri al processo sanità, quando l’ex assessore regionale alla sanità Vito Domenici, uno dei 25 imputati, ha raccontato quello che si diceva dell’ex titolare di Villa Pini. A saltare dalla sedia è stato il legale di Angelini Sergio Menna chiedendo «di censurare quelle parole: sono un insulto» e quindi il pm Giuseppe Bellelli che ha sollecitato l’imputato a circostanziare, a fare i nomi di chi avrebbe contribuito ad alimentare quella fama. «No, nessun nome. Si diceva in giro, nella politica. Ma era una mia sensazione», ha aggiustato un po’ il tiro Domenici, «venuta fuori da chiacchiere, chiacchiere da bar» ha risposto l’ex assessore di centrodestra. E ai rimbrotti dell’avvocato Menna il presidente del collegio Carmelo De Santis ha risposto: «Beh, non scandalizziamoci troppo. E’ stato lo stesso Angelini a raccontare qui dentro di aver portato soldi a pubblici ufficiali, di aver fatto foto e poi le mele...», ha tagliato corto. Domenici è imputato nel processo sanità per associazione per delinquere, abuso e truffa e in una costola a Sulmona per quella presunta tangente che avrebbe preso nel febbraio 2005 al casello di Pratola Peligna. «Non ho mai avuto incontri privati con Angelini», ha raccontato. «Sono convinto però che Angelini sapeva in anticipo tutti i provvedimenti che venivano presi dalla Regione. Il casello di Pratola è un’altra storia», ha proseguito l’ex assessore sotto la giunta di Giovanni Pace. «Angelini m’inseguiva, come ha detto lui stesso, perché c’erano sette delibere in cui accreditavo 7 case di cura dell’Aquila e delle zone interne e lui diceva che avevo tolto 10 milioni di euro alle sue strutture. Sospetto che Angelini sapesse di queste delibere in anticipo, perché non erano ancora andate in giunta. L’ha detto lui che mi inseguiva per darmi i soldi». All’inizio dell’esame Domenici ha raccontato di come arrivò alla nomina di assessore. «E’ stato S abatino Aracu», ha detto, «a sollecitare la mia nomina perché voleva bruciarmi politicamente. Io ero diffidente perché l’assessorato alla sanità era il più difficile, il più pericoloso. La struttura era inadeguata, su 180 dipendenti il massimo di presenze era di 30 persone. C’era un’oggettiva difficoltà e per questo mi rivolsi a Giancarlo Masciarelli che iniziò a collaborare. Vedevo Masciarelli, il mio rapporto con lui era buono, a me non ha mai strillato, ma è una persona di carattere». L’udienza è proseguita con l’esame di Luciano Di Odoardo e, in aula, si torna il 23 gennaio.

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