Edison: altri 160 milioni per le trivelle nel mare abruzzese

Per la società mineraria l’allarme ambientale si è rivelato falso: nuovi investimenti e due proposte agli ambientalisti

PESCARA. La piattaforma “Rospo Mare” a 11 miglia al largo tra Vasto e Termoli a febbraio tornerà ad estrarre petrolio bituminoso dopo la sospensione cautelativa a causa dell’allarme ambientale, poi rientrato, di lunedì notte. Il tempo necessario per completare le indagini sottomarine, di escludere del tutto eventuali anomalie tecniche e di approfittare dello stop per anticipare dei lavori di ordinaria manutenzione. Dopodiché la Edison -titolare al 62% della concessione insieme al 38% di Eni - darà ufficialmente il via al piano di investimenti da 160 milioni di euro (tre nuovi pozzi che andranno a sostituire quelli che nel frattempo sono cessati) che farà quantomeno aumentare il livello di produzione di 1 milione 300mila barili che ha già proiettato il campo abruzzese-molisano in vetta alle piattaforme italiane.

«Fino a questo momento l’allarme dell’altro giorno si è rivelato un falso allarme poiché né noi né la Capitaneria abbiamo trovato tracce di idrocarburi in mare», è la pista che batte Edison, «e l’iridescenza che era stata avvistata dal nostro equipaggio può essere stata di natura ambientale come fango, alghe e detriti, residui provenienti da nord. Di certo», conclude Edison, «c’è che fino a questo momento possiamo dire con sicurezza che in ogni caso non è roba nostra».

Il direttore idrocarburi Nicola Monti e il responsabile operazioni Giovanni Dinardo, dicono comunque di essere fieri del comportamento dell’equipaggio di “Rospo Mare”: «Aver dato l’allarme per noi ha voluto dire sospendere l’attività e quindi subire un danno, cionostante abbiamo dato una dimostrazione di quanto teniamo alla sicurezza e all’ambiente».

Edison sa dell’inchiesta aperta dalla Procura di Larino per inquinamento ambientale e che i Comuni di Termoli e Vasto valutano l’eventualità di chiedere i danni: «Noi abbiamo agito con trasparenza e tempestività, ognuno può fare quello che vuole, fino adesso però manca il “corpo del reato”, cioé il petrolio, la chiazza oleosa, gli idrocarburi oggetto del presunto inquinamento».

E i gabbiani sporchi di petrolio fotografati dal Wwf? «Ci dispiace per i gabbiani e per il Wwf, per vedere se esiste una correlazione possiamo proporre una cosa: il Wwf analizzi il petrolio dei gabbiani, noi consegneremo le analisi del nostro greggio e vedremo così se stiamo parlando della stessa cosa. Anche perché lo stesso Wwf ha ammesso che alcune foto risalgono a prima che ci fosse l’allarme ambientale».

L’ingegnere Monti e l’ingegnere Dinardo ci tengono a dire che le indagini sottomarine procedono per «maggiore sicurezza» e sottolineano che la manutenzione non ha nulla a che fare con la chiazza del mistero. «Se vogliamo infondere rassicurazioni è perché non abbiamo trovato nulla sul serio, con gli ambientalisti ci piacerebbe discutere e avviare un confronto. Se è un’altra proposta? Sì, lo scriva. D’altra parte la nostra concessione scade nel 2018 ed è rinnovabile per altri 5 anni quando con tutta probabilità sarà istituito il Parco della costa teatina. Ci piacerebbe allora dimostrare come intorno alle nostre piattaforme flora e fauna marine siano ricche e tutelate. Quanto a sicurezza e prevenzione, poi, abbiamo visto in questi giorni quali siano i livelli raggiunti...».

Edison tuttavia non vuole parlare di ecoristoro a favore dei comuni costieri: «Noi operiamo su concessione della Stato e allo Stato paghiamo le tasse ed il 7 per cento del fatturato per le royalties. È allo Stato che gli Enti locali si devono rivolgere per avere una quota maggiore delle nostre royalties. Crediamo che questo sia giusto, ma adesso non tirateci dentro pure in questi argomenti. E perfavore non chiamateci più petrolieri, siamo agenti minerari».

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