«Ex Cofa, il rischio dei palazzi vista mare»

Parla Mammarella, docente di Architettura: «Degrado colpa di imprenditori e politici»

PESCARA. «Le grandi imprese locali del mattone sono nate e cresciute sul modello d'oro dei palazzi. Ma fare appartamenti sul mare, all'ex Cofa, è come bruciare i mobili di famiglia: un ottimo investimento immediato per i costruttori ma il rischio è spogliare Pescara della sua ultima zona strategica». È il parere di Andrea Mammarella, architetto e docente universitario.

Il dibattito è puntato sul futuro: un polo fieristico, un albergo e palazzi sui ruderi dell'ex Cofa, così propone la Camera di commercio che vuole acquistare dalla Regione Abruzzo per 10 milioni 240 mila euro l'area tra il ponte del Mare e il porto turistico.

LE DUE COLPE Ma, tra passato e presente, se da quasi dieci anni l'ex Cofa è un mostro, di chi è la colpa? Un po' è della politica, colpevole di aver ignorato la riqualificazione dell'ex mercato ortofrutticolo, ma quasi tutta è degli imprenditori locali, «nati e cresciuti sul modello dei palazzi residenziali costruiti senza rischi di impresa». Lo sostiene Andrea Mammarella, architetto e docente di Composizione all'università D'Annunzio. 

Per Mammarella è la «legge dei numeri» a guidare le idee e l'architettura è «un mezzo» per raggiungere un fine: «La questione dell'ex Cofa, quindi, è un problema di economia», osserva, «è necessario capire cosa può intercettare una città come Pescara, ragionare per spot è sbagliato. Certo, l'ex Cofa rappresenta una zona a vocazione recettiva ma questo vuol dire tutto e niente e così ecco le proposte di un albergo, di un polo fieristico, di un palaeventi, magari anche di un parco naturalistico. L'importante», spiega l'architetto, «è trovare un equilibrio tra interessi economici e sostenibilità sociale e ambientale». 

Per spiegare il ragionamento, basta tornare al 2007 con l'annuncio della Camera di commercio, sotto la presidenza di Ezio Ardizzi, di un eliporto al porto turistico per un costo di 12 milioni di euro: un'idea rimasta sulla carta e adesso «congelata» da Daniele Becci, successore di Ardizzi. «Costruire un eliporto innesca dinamiche di reddito?», si domanda l'architetto, «se un imprenditore non porta avanti il progetto ma aspetta contributi pubblici vuol dire che l'idea non è poi così necessaria al territorio. Vale lo stesso per l'ex Cofa».

GLI IMPRENDITORI Ma se l'ex Cofa è nel degrado da quasi dieci anni di chi è la responsabilità? «Le trasformazioni urbane», spiega Mammarella, «avvengono sempre grazie a interessi economici, da non confondere con speculazioni. Se questo fermento è alla base delle operazioni urbane e se a Pescara non si riescono a fare da decenni viene da pensare che il problema sia l'imprenditoria anche se la responsabilità è doppia: c'è un'imprenditoria che si è cullata sugli allori e c'è la politica che ha permesso questo stato di cose. La colpa della politica», dice, «è stata non aprire una competizione reale su idee e progettualità per l'ex Cofa.

Ci sono due sistemi che possono essere utilizzati: l'attuazione del Pp2 e cioè il Comune fa il progetto e mette a bando le realizzazioni oppure l'urbanistica contrattata vale a dire che i progetti sono attuati con project financing consentendo alle migliori intelligenze internazionali di partecipare a un bando su un progetto per determinate aree. Per l'ex Cofa, però, è stato fatto solo uno studio di fattibilità per una Stu, una Società di trasformazione urbana, un'attività paludosa che ha prodotto chili di carta inutili e dei quali non se n'è più parlato.

La responsabilità della politica è non aver innescato un confronto aperto, al di là dei ganibetti dei sindaci, sulle idee da affidare poi a professionisti di Milano o Madrid o piuttosto di Abu Dhabi. Ma se l'ex Cofa è nel degrado», avverte Mammarella, «c'è anche una terza possibilità e cioè che il contesto pescarese non sia così promettente per gli investimenti».

I SOLDI DEI PRIVATI
Secondo Mammarella, il recupero dell'ex Cofa può avvenire solo con i soldi dei privati: «Ma le grandi imprese locali», dice, «sono nate e cresciute sul modello dei palazzi residenziali: hanno costruito le proprie fortune realizzando case per i pescaresi ma questo modello è in crisi. Gli imprenditori, per decenni, hanno vissuto nella convinzione che fare un investimento volesse dire solo comprare un terreno, lottizzarlo e costruirci sopra appartamenti.

L'imprenditoria deve rinnovarsi oppure crollerà l'economica e il territorio diventerà depresso». Nonostante, la crisi dell'edilizia per l'ex Cofa si punta anche a edifici residenziali: «Il modello d'oro continua a essere un riferimento», afferma Mammarella, «ma realizzare appartamenti sul mare all'ex Cofa è come bruciare i mobili di famiglia: per i privati è investimento ma poi a Pescara è finito tutto. Ma è possibile che l'economia non riesca a trovare altre fonti di profitto? Perché a Barcellona nascono i parchi tematici e da noi non si riesce a sganciarsi dai palazzi?».

LA CITTA' DEGLI EX
Di questo passo, tra parole della politica e scarsi rischi d'impresa, «Pescara è diventata la città degli ex», dice l'architetto, «ci sono l'ex Cofa, l'ex Fea, l'ex fonderia Camplone. A Montesilvano, un altro ex: l'ex colonia Stella Maris. Sembra che negli ultimi cinquanta anni non si sia fatto niente, solo l'ex Aurum è tornato Aurum. Ma manca lo slancio di inventare una cosa che prima non c'era: se va bene si fa il riuso. Dobbiamo essere agili, veloci, intraprendenti, creativi, invece, negli ultimi decenni Pescara è diventata la città più conservatrice d'Abruzzo: le imprese sono sempre le stesse, non si fanno interventi e ci si avvita sui dibattiti. Se Pescara perde la capacità di inventarsi un futuro, non resta più niente».

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