Fallimento Delfino Verde: in 5 rischiano il processo per bancarotta fraudolenta 

Sono la ex amministratrice della società, Marisa Crisante, il marito e tre molisani Nel mirino della Finanza e dei carabinieri, distrazioni di denaro avvenute nel 2021

PESCARA. Per il fallimento (decretato dal tribunale di Pescara il 13 aprile del 2021) di uno dei più noti e storici stabilimenti balneari della riviera pescarese, il Delfino Verde, in cinque rischiano di finire sotto processo per bancarotta fraudolenta. La richiesta di rinvio a giudizio porta la firma del pm Gabriella De Lucia e arriva dopo una lunga e accurata indagine portata avanti dalla guardia di finanza e dai carabinieri, con tanto di consulenza tecnica effettuata da un esperto nominato dalla procura.
Nella richiesta di processo si parla di diversi fatti di bancarotta e di distrazioni di ingenti somme di denaro che vedono come protagonista Marisa Crisante in qualità di amministratrice unica della società all’epoca dei fatti. Insieme a lei, sotto inchiesta è finito anche il marito, Angelo Di Mario (amministratore della Manolo srls), e tre molisani, Nino Larivera, Gianluca Scutti e Vincenzo Di Cienzo. Crisante, stando all’imputazione stilata dal pm, avrebbe distratto beni sociali e in particolare 170mila euro imputati a “socio Crisante/finanziamento” e un altro importo di poco superiore ai 158 mila euro (fatti che si ritengono commessi nell’aprile del 2021). Distrazione che avrebbe aggravato il dissesto della società, secondo la procura, che imputa a Crisante di aver omesso di «richiedere il fallimento in proprio, atteso che la società era insolvente sin dal 31 dicembre 2017, allorquando aveva maturato una esposizione verso l’erario di 657 mila euro». Fatti di bancarotta vengono contestati anche a Di Cienzo in qualità di amministratore della Siltes srl. Con Crisante avrebbero distratto i beni della Delfino Verde con un contratto di affitto di ramo d’azienda in data 22 marzo 2019, quando la Delfino Verde «cedeva alla Siltes il ramo d’azienda costituito da bar, ristorante, pizzeria, piscina e spiaggia dietro un canone di 30mila euro, nonché nell’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria dei locali e delle attrezzature del valore di 100 mila euro, e ciò in assenza», si legge nell'imputazione, «di qualsivoglia pagamento percepito dalla Delfino Verde che, pur a fronte del mancato versamento del corrispettivo pattuito, ometteva di provvedere alla annotazione in contabilità del relativo credito verso la Siltes». Il marito della Crisante, Di Mario, entra in gioco con i molisani in relazione a una «serie di atti depauperatori del patrimonio aziendale» attraverso i quali avrebbero distratto «lo stabilimento balneare con relativa concessione demaniale e relativi manufatti e accessori del complesso balneare (cabine, arenile asservito, pertinenze, bar, ristorante, pizzeria, piscina, chiosco e relative licenze) del valore di 1 milione e 181mila euro, mai rinvenuti alla data del fallimento».
Nell'aprile del 2019 Crisante presenta istanza di subingresso della Manolo (società amministrata dal marito) e a maggio dello stesso anno, dopo il rilascio da parte del Comune della licenza di subingresso, «veniva annotata nel libro giornale la alienazione dell’intera azienda alla Manolo e di fatto in favore di Scutti (socio unico della Beach Club, socia al 99% della Manolo) e ciò in assenza di qualsivoglia pagamento percepito dalla Delfino Verde che, priva di qualsiasi prospettiva di guadagno, nel bilancio al 31 dicembre 2019 annotava la relativa perdita di 1 milione e 181mila euro alla voce “sopravvenienza passiva”».
A settembre del 2019, con altro contratto di cessione d’azienda, «la Manolo cedeva alla Sea Club (amministrata da Nino Larivera e detenuta da Larivera srl e Distra srl, quest’ultima amministrata dalla convivente di Scutti) l’intero compendio aziendale, comprensivo di licenza seminale di subingresso, dietro il pagamento di un corrispettivo di 145mila euro, oltre all’accollo dei debiti per 148mila euro, e dunque per un valore complessivo di 293mila euro, di gran lunga inferiore all’effettivo valore del complesso aziendale».
Determinanti le relazioni del curatore fallimentare che spedì anche una denuncia in procura, oltre alle indagini delle fiamme gialle e del consulente tecnico. Adesso la parola passerà al gup Mariacarla Sacco.
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