omicidio di vasto

Fare prevenzione. E lasciare in pace i giudici

L’introduzione di reati manifesto come l’omicidio stradale rischia di alimentare l’idea che un fatto colposo vada punito come volontario. Ecco il contributo di Paola Balducci, avvocato, docente universitario, membro laico del Consiglio superiore della Magistratura ed ex parlamentare

Abbiamo perso tutti dice il vescovo di Vasto. Qualche giorno fa lo stesso accusava la giustizia dei tempi lenti del processo penale. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, hanno già preso posizione sul punto. I tempi della giustizia penale sono stati veloci e a febbraio si sarebbe celebrata l’udienza davanti al Gup. Un frase del Procuratore della Repubblica deve far meditare quando ammonisce che certe affermazioni possono condizionare l’opinione pubblica.

Credo che il tema debba essere affrontato in modo diverso. Il legislatore spesso introduce norme penali manifesto per inseguire le spinte emotive della società. L’omicidio stradale diventa la risposta efficace alle drammatiche morti cagionate da violazioni delle norme del codice stradale. Si sottovaluta, però che l'introduzione di questi reati “manifesto” rischia di portare nel convincimento di molti l’idea che chi è autore del reato debba essere punito come chi uccide volontariamente una persona quindi con con un processo esemplare e con il carcere. Eventuali accertamenti processuali sulle responsabilità, si ripete colpose, non interessano. Non interessa nemmeno se il reato sia stato commesso o meno in stato di ebbrezza o sotto effetto di sostanze stupefacenti e se magari l’investitore abbia soccorso la vittima. Agli occhi di tutti è un assassino. E la presunta inerzia della giustizia alimenta istinti di vendetta.

Il crescere di episodi di giustizia fai da te diventa allora la conseguenza ineluttabile della sfiducia nel giudice che dovrebbe considerare quell’omicidio al pari di quello volontario di chi uccide un nemico, un avversario e applicare, quindi, le sanzioni più rigorose. Non si finirà si ripetere che invece di riversare sul giudice ogni sorta di responsabilità, si dovrebbe agire sulla prevenzione, sulla educazione stradale. Si dovrebbe, infine impegnare forze e risorse per supportare psicologicamente le famiglie non solo di chi ha perso il proprio congiunto ma anche di chi ha causato l'incidente mortale, soprattutto quando il fatto si verifica in comunità più piccole. Sono persone tutte che hanno visto improvvisamente sconvolta la propria vita. Il dolore intenso di chi non riesce ad accettare la morte di un proprio caro non può e non deve trasformarsi in odio profondo, in vendetta.

*Avvocato, docente universitario, membro  laico del Csm  ed ex parlamentare