Ferie non pagate, ministero condannato

Poliziotto vince ricorso al Tar: dopo l'aspettativa per malattia era andato in pensione

PESCARA. Il mancato godimento delle ferie - non legato alla volontà o alla colpa del dipendente e seguito dal pensionamento - dà diritto al compenso sostitutivo, da ritenersi un principio generale dell'ordinamento. Il Tar di Pescara accoglie il ricorso di un poliziotto, condanna il ministero dell'Interno al pagamento della somma dovuta e, come aveva già fatto in un'analoga sentenza per un dipendente comunale, riafferma una norma-caposaldo.

E cioè il diritto del dipendente pubblico a monetizzare le vacanze quando non gli sia stato possibile usufruirne. La sentenza chiude una controversia lunga 15 anni in quanto il ricorrente, collocato a riposo nel 1996, aveva chiesto invano il pagamento delle ferie non fruite a cavallo tra il '95 e il '96.

Che cosa dice la norma? La monetizzazione delle ferie maturate e non godute è stata introdotta, per il personale della polizia di Stato, con decorrenza dal primo gennaio 1996 e solo se le stesse non siano state concesse per motivate esigenze di servizio. Tre anni dopo, la regola è stata estesa anche ai casi di decesso, cessazione dal servizio per infermità o pensionamento dopo aspettativa per infermità quali eventi imprevedibili.

Secondo il poliziotto, il rapporto di lavoro è stato interrotto da malattia, e dunque per causa non volontaria, per cui il pagamento delle ferie non godute si prospetta come unica possibilità quando non sia attuabile il riposo compensativo. Una strada non percorribile, invece, secondo lo Stato, perché il periodo trascorso in aspettativa per infermità era cominciato a gennaio del 1995 e dunque prima dell'entrata in vigore della normativa.

Il collegio presieduto da Umberto Zuballi chiarisce così la questione: «Il diritto alle ferie annuali è il diritto a usufruire di un riposo in rapporto al servizio espletato. Nella fattispecie, il pagamento sostitutivo attiene a due annualità (1995-96), con ferie non godute e la cessazione dal servizio preceduta da un lungo collocamento in aspettativa, senza alcuna prestazione effettuata, in una situazione di attesa, che ha assorbito i periodi di ferie, beneficiando l'interessato di altro specifico trattamento di legge. Sul piano logico-giuridico, il dipendente avrebbe dovuto interrompere l'aspettativa e chiedere il congedo ordinario, ma questo non solo non era possibile, ma non avrebbe avuto senso in presenza di altra documentata situazione esistente».

Ed ecco allora la norma di principio: il periodo di aspettativa determina una situazione di "stallo" del rapporto, alla luce dell'assenza completa di prestazioni lavorative; questo è accentuato allorquando si tratta di periodi lunghi e senza soluzione di continuità, per i quali le ferie hanno un valore solo nominale, soprattutto se il collocamento in pensione segue la dispensa dal servizio, con la cessazione del rapporto; in tale contesto, le ferie diventano prive di logica poiché esse devono servire al dipendente per reintegrare le proprie energie fisiche, il che, dice il Tar, «è una contraddizione con il suo stato di aspettativa per malattia».

Il ministero, aggiungono i giudici, potrebbe far valere il principio secondo cui nessuno è tenuto fare cose impossibili perché, anche nell'ipotesi in cui avesse voluto collocare in ferie il dipendente in aspettativa, non le sarebbe stato consentito: «Deve, pertanto, escludersi una responsabilità dell'ufficio, che è controbilanciata dalla giustificazione della "non prestazione" di servizio da parte del dipendente, il quale oggettivamente non può fare alcuna richiesta preventiva di godimento delle ferie né tale comportamento può essere interpretato come una rinuncia unilaterale».

Il poliziotto, infatti, non le ha richieste a causa della sua situazione personale di malattia, mentre il ministero non ha potuto assegnarle d'ufficio essendo il dipendente in aspettativa. «Bisogna concludere», dice il Tar, «che si è trattata di una situazione di forza maggiore o di necessità per entrambe le parti». Ma la norma costituzionale, sulla base del principio dell'irrinunciabilità, è favorevole al dipendente e addossa al datore di lavoro il mancato godimento delle ferie annuali, quando quest'ultimo sia indipendente dalla volontà del lavoratore. Di qui, l'accoglimento del ricorso.

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