Filo dimenticato in vena, 4 medici indagati

Inchiesta sul caso di una paziente rimasta per 5 mesi con una guida di metallo nel corpo

PESCARA. Quattro medici indagati per un filo di metallo lungo cinquanta centimetri dimenticato per cinque mesi nella vena di una paziente malata di tumore: sono accusati di lesioni colpose i medici che, il 9 dicembre 2010, hanno operato una paziente di Francavilla. Le hanno salvato la vita asportandole un tumore allo stomaco ma, durante l'intervento, è stato lasciato nel corpo «un filo guida metallico».

Un «corpo estraneo», scoperto soltanto il 29 aprile 2010 con un esame Tac e rimosso dal corpo della paziente di 54 anni con un altro intervento d'urgenza il 9 maggio scorso. Il pm Salvatore Campochiaro che coordina l'inchiesta sul presunto caso di malasanità all'ospedale di Pescara ha chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari Maria Michela Di Fine l'incidente probatorio: un'anticipazione del processo per cristallizzare la prova e produrla nel processo durante il dibattimento.

PERIZIA.
Così, il 12 gennaio prossimo prenderà il via la perizia medico-legale affidata a Mariano Cingolani, medico dell'istituto di Medicina legale dell'università di Macerata. Sarà Cingolani a stabilire se ci sono stati errori in sala operatoria e chi li ha commessi.

INCHIESTA.
L'obiettivo dell'incidente probatorio, come scrive il gip Di Fine sul decreto, è «accertare eventuali colpe professionali dei sanitari indagati e/o altri in relazione all'occorso precisando ruoli e singole responsabilità nonché evidenziando tipologia e gravità delle lesioni prodotte e conseguenti, anche ai fini della qualificazione giuridica del fatto, segnalando ogni profilo di penale rilievo».

INDAGATI.
Per ottenere l'incidente probatorio, il pm Campochiaro ha dovuto iscrivere sul registro degli indagati quattro medici dell'equipe di Chirurgia: si è trattato di un atto dovuto e, a oggi, gli indagati sono il primario del reparto Giuseppe Colecchia e i collaboratori Enzo Monteferrante, Mathew Waku e Nicolino Baldassarre. Per il gip, la perizia è un «mezzo di prova rilevante per la decisione dibattimentale al fine di verificare l'esistenza di responsabilità penali a carico degli indagati».

DENUNCIA.
L'inchiesta è partita dopo la querela presentata dalla paziente: un documento freddo per ripercorrere cinque mesi di dolori. Ai primi segni di malessere non ha dato peso: ha messo in relazione i fastidi al decorso dell'intervento allo stomaco e ai farmaci obbligatori e ha sopportato stringendo i denti. È andata avanti così fino al 29 aprile: quando si è sottoposta a un esame di controllo in una clinica privata per evitare le liste d'attesa dell'ospedale, ha scoperto «il corpo estraneo».

DOCUMENTO.
«Si segnala», così ha scritto un radiologo, «la presenza di un'immagine lineare a densità metallica nel contesto della vena cava, dalla confluenza delle vene anonime fino alla vena iliaca esterna di destra, non presente nel precedente controllo». È questa la descrizione del filo di metallo lungo cinquanta centimetri: un documento già acquisito agli atti dell'inchiesta. L'esame di controllo non ha ravvisato metastasi del tumore anche grazie al lavoro dei medici ma ha scoperto il «corpo estraneo»: così, la donna è stata costretta a tornare nel reparto di Chirurgia con l'esito della Tac in mano, è stata ricoverata un'altra volta e rioperata il 9 maggio per la «rimozione radiologica interventistica del corpo estraneo», come riportato sul foglio di dimissioni. Dopo l'intervento, la donna ha dovuto assumere per un mese un farmaco a base di eparina per evitare il rischio di trombosi.

ASL.
Finora la Asl non ha nominato un avvocato per seguire la causa: il caso è affidato al dipartimento per gli Affari legali e del personale diretto da Vero Michitelli e al coordinatore delle attività legali Fabrizio Verì.

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