La piccola Francesca Gerardi nel giorno del suo terzo compleanno con il papà Gianluca e la mamma Angela

LA STORIA

Francesca e quel gesto d’amore: «Grazie a lei è rinata mia figlia» 

Parla la mamma della bimba che ha ricevuto gli organi della piccola di Scafa, morta a 3 anni in un incidente

PESCARA. «Mia figlia e la piccola Francesca sono praticamente uguali, è incredibile: tranne gli occhi sono identiche. E a lei glielo dico sempre, hai il fegato di una tua sorellina». La signora Laura (nome di fantasia nel rispetto delle norme sulla donazione degli organi) parla al telefono dal Friuli quasi tre anni dopo il trapianto ricevuto dalla sua Elisa (anche questo nome di fantasia) quando la bambina aveva due anni e tre mesi, il 14 luglio del 2018. A donarle il fegato che le ha salvato la vita è stata, grazie alla generosità dei suoi genitori, Francesca Gerardi, tre anni di Scafa. In quei giorni di luglio del 2018, la sera dell’8, l’auto sulla quale la piccola viaggiava con la mamma si schiantò contro un albero. Entrambe finirono in ospedale, ma per Francesca la speranza durò cinque giorni. Poi la morte e la decisione dei genitori, Gianluca e Angela, di autorizzare l’espianto degli organi della loro unica figlia, per trasformare tutto quel dolore in una promessa di vita per altri bambini, per altre famiglie. Il fegato e un rene andarono a Padova e un altro rene a Roma. A distanza di quasi tre anni, e alla fine di un percorso di analisi che l’ha aiutata a isolare in un angolo del cuore il terrore di perdere sua figlia, la mamma di uno di quei tre bambini salvati da Francesca sente il bisogno di dire grazie. «Grazie a questi genitori meravigliosi che nel momento più difficile della loro vita, quando fino all’ultimo non vuoi smettere di crederci, hanno detto di sì. Sì all’espianto».
Perché sua figlia aveva bisogno di un trapianto?
Mia figlia è nata con un deficit Otc, un difetto genetico del metabolismo. L’abbiamo scoperto a sei giorni dalla nascita, la bambina andò in coma e ce lo dissero subito, l’unica salvezza era il trapianto. Non c’era alternativa, se non quella di aspettare la crisi successiva che l’avrebbe riportata in coma, con il rischio di non farcela. Ma era troppo piccola e fino a un anno e mezzo di età siamo andati avanti con la terapia, senza avere contatti esterni, sempre a casa, perché se si ammalava era pericolosissimo. Ma ci ripetevano che l’unica strada era il trapianto di fegato e così abbiamo avviato tutte le procedure. Abbiamo dovuto parlare con i medici, con gli psicologi, con un sacco di persone. Io non potevo donare per una questione genetica e alla fine fu scelto mio marito. Nel caso non si fosse trovato un donatore, avrebbero preso una porzione di fegato del papà. Comunque abbiamo avviato tutte le pratiche. Quando c’è da salvare tua figlia fai tutto il possibile immaginabile.
E poi a luglio 2018 è arrivata la notizia di Francesca.
In verità ci avevano già chiamato, a marzo. Avevamo fatto tutta la preparazione con gli antibiotici, poi alle 4 di notte ci dissero stop, il fegato non va più bene. Fu una mazzata. Ci speravamo.
La chiamata è arrivata di nuovo pochi mesi dopo. Come ha ricevuto la notizia?
Quel giorno di luglio stavo facendo la spesa, erano le sei di pomeriggio quando mi hanno chiamato. Di corsa a fare le valigie, dopo la prima volta sapevo quello che dovevo portare. Un’ora dopo eravamo già in macchina verso Padova, e un’ora e mezza dopo in pronto soccorso, dove ci aspettavano. Poi i raggi, gli antibiotici. Non è una procedura semplice, la bambina non aveva neanche due anni e mezzo. E comunque non hai la certezza fino a quando non ti vengono a preparare per la sala operatoria. Cosa che è successa alle 6 della mattina dopo.
Quanto è durato l’intervento?
Otto, dieci ore.
Come ha scoperto che il fegato era della piccola Francesca di Scafa?
Legalmente non si deve sapere chi è il donatore e chi è il ricevente. Ma con i social media ho iniziato a cercare e ho trovato la notizia sul sito del Centro. Si parlava dell’incidente e di una bambina di 3 anni che aveva donato gli organi, tra cui il fegato. C’era la foto, c’era tutto. Quando il medico ci ha detto che era andato tutto bene mio marito ha pianto. Per la gioia e la tensione. Ma in quei momenti abbiamo pensato anche all’altra parte, alla povera famiglia e al dolore che stava vivendo in quegli stessi istanti. Ed è un pensiero che non ci ha mai lasciato. Oggi che mia figlia va a scuola e ha una vita normale, quando prima rischiava di morire anche per qualche decimo di febbre, sento il bisogno di far conoscere a questi genitori meravigliosi la mia immensa gratitudine.
Che cosa si sente di dirgli?
Grazie di tutto cuore, perché senza di voi non ci sarebbe nostra figlia e io non sarei qui neanche a parlarne. Voglio fargli sapere che io li ritengo parte della nostra famiglia e che se hanno il desiderio di incontrarci, di vedere dove continua a vivere una parte della loro bambina, possiamo trovare il modo di farlo. Lo dico perché al loro posto io vorrei saperlo, perché sono stati i nostri salvatori. In un momento in cui una madre e un padre sono annebbiati dal dolore loro hanno fatto la scelta più difficile. Da questa esperienza anche noi siamo diventati donatori, tutti, anche mia madre.
Che cosa sa, sua figlia, della bambina che l’ha salvata?
Ogni anno, nei giorni del trapianto, facciamo dire una messa per Francesca e a mia figlia ripeto sempre che ha il fegato di una sorellina. Anche perché, davvero, sono identiche. A parte gli occhi, sono uguali.