FRANTUMAZIONE DI UN AMORE

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E’ mezzogiorno. Siamo in spiaggia da quattro ore. Le previsioni, ieri sera, dicevano che anche oggi si sarebbero toccati i trentanove gradi, rafforzando un agosto torrido come non si vedeva da anni. Per sopravvivere a quella soffocante afa, di tanto in tanto, mi tuffo in acqua per rinfrescarmi. Poi ritorno da te e tu mi guardi, tutte le volte, con la felicità di chi ha ritrovato il proprio giocattolo smarrito. E mi chiedi di abbracciarti. Tu ami tantissimo lasciarti incollare dalle mie braccia. Ed io eseguo, come un soldatino rassegnato, e tu continui a non renderti conto che il passare del tempo ha accumulato una distanza tra di noi densa e impenetrabile. Tu non li vedi e non li vuoi sentire i miei silenzi. Il mare, intanto, lancia e mi rilancia contro, come una nenia disperata, i versi della lenta agonia del nostro amore.

Qui il sole aveva reso indelebile la nostra prima giornata di mare - sono passati sette anni- di fidanzatini timidi. Eravamo venuti in motorino. Per le quattro del pomeriggio ero stato costretto a riportarti a casa, per non destare sospetti nei tuoi genitori che, alla fine, sono riusciti a far marcire la nostra spontaneità negli obblighi di un fidanzamento ufficiale.

Certo, sono ancora qui con te,  ma dietro di noi non ci sono più soltanto gli scogli sui quali non hai mai avuto il coraggio di arrampicarti, per paura di farti male. C’è tuo padre sdraiato sul lettino, con il panama incassato in testa e gli occhiali da sole. Finge di guardare dritto, verso il mare, ma rischia di diventare strabico per controllarci e censurare le nostre effusioni. E tua madre gli scodinzola intorno, assecondandone ogni infantile capriccio. Si sono portati dietro anche tuo nonno, l’ospite d’onore della giornata, che si è fatto una grassa risata, prima di alzarsi dalla sedia e avviarsi, a torso nudo, a prenotare un tavolo al ristorantino del lido che si affaccia sul mare. Tuo nonno non si smentisce mai. E’ uno spaccone, convinto che con i soldi si possa comprare tutto. Ha comprato anche la tua libertà, con la complicità di tua madre, che da tre anni - dopo la morte di tua nonna - ti costringe a fargli da serva, con la speranza di avere in premio la sua eredità, non appena tirerà le cuoia. Da allora non sono stato più il centro del tuo universo. Non mi hai concesso più nemmeno un millimetro di te per dare spazio ai nostri progetti e alla nostra eterna promessa di vivere l’uno per l’altro. I nostri sogni si sono sgonfiati, come il nostro futuro, impigliato in un domani senza conseguenze. Vorrei avere il coraggio di farti annegare nella mia delusione. Battere cassa e chiedere i danni per tutti i sogni traditi, le promesse infrante, i miei sguardi nei quali soffocano i residui del nostro amore. E intanto tu continui a parlarmi di matrimonio e della tua crescente voglia di maternità. Io ti guardo, assente, e sconto le tue parole come un’inevitabile condanna. Adesso hai attaccato con l’elenco delle cose che vorrai fare per realizzare il tuo matrimonio perfetto ed io mi incanto di fronte alle increspature del mare. Sono lievi sobbalzi, delicate carezze che spingono a riva le onde, ma che non appianano l’indistinto rimescolio di disperazione che s’infrange dentro di me, erodendomi senza scampo.

Tuo nonno è appena tornato. Ha detto che tra dieci minuti possiamo accomodarci al tavolo. Meglio così. Ho deciso che mangerò tanto, fino a schiattare. Tanto paga lui. E poi sceglierò il vino più costoso, per brindare alla mia infelicità e tenere accesa, ebbro di infantile speranza, la confusa utopia di perdermi, almeno per qualche istante, nell’oblio.

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