Gioco, la storia di una vittima: "Ho perso tutto con le slot"

Il racconto di un pescarese che in 10 anni ha sperperato 100mila euro. La città è al 9° posto in Italia per i malati di ludopatia

PESCARA. «In questo gioco non si vince mai: è inutile illudersi, quando tiri le somme ti accorgi che alla fine hai perso sempre tu. E non è solo una questione economica, perché i soldi nella vita si possono recuperare. Il vero disastro è non avere più la fiducia delle persone che ami». Marcello (il nome è di fantasia) si stringe nella poltrona dell’ufficio Gap, Gioco d’azzardo patologico della Asl. Gli ultimi dieci anni della sua vita li ha passati a inseguire il sogno di sbancare alle macchinette per riuscire a recuperare una parte del capitale sperperato nel gioco. La voglia di sentire la coscienza un tantino più leggera e riuscire così a guardare negli occhi moglie e figlia senza più rimorsi, lo ha spinto a gettare alle ortiche 100mila euro. La sua è una storia simbolo, fatta di disperazione, riscatto e una rinascita iniziata a fatica, ma che fotografa un’emergenza che in città ha assunto contorni allarmanti. Pescara è al nono posto in Italia per vittime di gioco d’azzardo. Secondo le ultime statistiche, ognuno dei suoi 123mila abitanti spende, ogni anno, 1.500 euro tra Gratta e Vinci, slot machine e calcio scommesse.

La storia. «Avevo letteralmente perso il controllo», racconta il 49enne, sposato e padre di una bimba, «una volta sono arrivato a spendere 3mila euro in un’ora nella stessa macchinetta, con puntate da dieci euro. Mi dicevo “Può darsi che adesso vinco qualcosa e poi smetto” ma alla fine perdevo sempre. Quando hai accumulato anni di gioco e stai quasi per toccare il fondo, scatta il bisogno di recuperare il denaro perduto. E allora continui a buttare soldi senza fermarti. La voglia diventa esigenza e si va a caccia costante di questi apparecchi». La fascinazione per il gioco è scattata nel 1999 con le prime slot-machine con i numeretti al led. «Prendo un caffè al bar: con mille lire mi danno 500 lire di resto che imbuco nella macchinetta e vinco 150 mila lire», Marcello si mette a nudo e usa il presente per ripercorrere a ritroso quei primi momenti di avvicinamento al gioco d’azzardo, «da allora non mi sono fermato più. Nei primi anni spendevo dalle 100 alle 200mila lire al mese, ma non era ancora una malattia, anche perché avevo ancora il lavoro. La rovina è invece arrivata negli ultimi 2/3 anni, con l’ingresso sul mercato delle Vlt che hanno distrutto letteralmente migliaia di famiglie».

La dipendenza. Vlt sta per video lottery terminal, apparecchi simili alle slot machine, che prevedono jackpot fino a mezzo milione di euro, ma diverse perché presentano modalità di gioco più evolute. «Io dico sempre che in queste sale si entra il primo giorno in giacca e cravatta e, dopo un mese, si esce senza più le scarpe», sentenzia l’uomo, «ho perso il lavoro e la disponibilità economica per continuare a giocare. Allora ho iniziato a combattere una guerra persa in partenza: chiedevo soldi in prestito per buttare altri soldi nelle macchinette, fino a mettermi nelle mani di tre finanziarie. Lo sapevo che stavo esagerando, ma la voglia di recuperare le perdite era più forte». La fortuna di vincere al gioco in dieci anni non è più capitata, fatta eccezione per somme di poco conto. «Ho rovinato una famiglia, le amicizie, la mia personalità e la mia dignità», si lascia andare con un filo di voce, «all’inizio mentivo, poi mia moglie ha scoperto il conto in rosso e ho dovuto raccontare tutto. Mi è venuto il disgusto per quello che avevo fatto e per il mondo del gioco in generale. L’impulso immediato è stato il suicidio, perché non mi sentivo più in diritto di vivere. Ma mi sono dovuto fermare, perché avevo firmato una clausola delle finanziarie in cui era specificato che, in caso di suicidio, gli istituti di credito si sarebbero rivalsi sui parenti più stretti».

La rinascita. Un tunnel senza uscita, che ha portato Marcello a fare i conti con i suoi limiti e le sue debolezze, rimboccandosi le maniche e tentando la strada tutta in salita del riscatto. «All’inizio ero scettico», aggiunge a proposito della sua decisione di rivolgersi a un esperto di ludopatia, «poi in un momento acuto di tristezza interiore ho detto “basta” e sono arrivato qui». Da un mese e mezzo l’uomo è seguito da psicologi e psicoterapeuti esperti della cura da gioco d’azzardo patologico e va in giro senza neanche un euro in tasca. «Ho intrapreso un percorso di cambiamento», dice rivolgendosi al suo terapista, «si chiacchiera tanto e questa cosa mi aiuta. Vorrei che si sapesse in giro, perché tantissime persone potrebbero trovare un appoggio concreto». Il messaggio che rivolge alle migliaia di vittime del gioco suona come un diktat: «Con questi giochi non si vince mai. Indipendentemente dai soldi, è la fiducia delle persone che ami che non potrai più rimettere a posto».

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