«Ha ucciso il figlio di 5 anni ma era in preda al delirio»

Lo psichiatra spiega perché Maravalle ha soffocato il piccolo Maxim «Aveva la testa sconvolta, pensava in quel modo di salvare il bambino»

PESCARA. Un estremo atto d’amore per proteggere la sua famiglia. C’è stato un «tragico ribaltamento» nella testa di Massimo Maravalle nella notte tra il 17 e il 18 luglio, quando il tecnico informatico di 47 anni in preda a un «delirio letale, paranoide e persecutorio» uccide il figlio adottivo Maxim di 5 anni senza terminare il suo disegno: togliere la vita anche alla moglie e a se stesso. A tradurre i pensieri «sconvolti» di Maravalle di quella notte è stato il docente bolognese Renato Ariatti, il professionista che in passato ha firmato perizie su Annamaria Franzoni e Bernardo Provenzano, e incaricato dal gip di Pescara di occuparsi di Maravalle.

«All’epoca dei fatti l’uomo», ha scritto Ariatti, «versava in condizioni di totale esclusione della capacità di intendere e di volere. Attualmente le condizioni psicopatologiche appaiono migliorate». Le conclusioni del perito non lasciano dubbi: Maravalle, quando ha ucciso Maxim, non era in sè ma, in questi mesi di carcere, il tecnico informatico sta migliorando ed ecco perché Maravalle potrà partecipare «in modo consapevole al processo».

La perizia sarà discussa il 25 novembre nel corso dell’incidente probatorio, ma le sue conclusioni, quell’ «incapacità di intendere e di volere», preludono a un proscioglimento dell’uomo che, molto probabilmente e come suggerisce anche il professore, sarà spostato in una casa di cura. Della tragedia di via Petrarca, la casa dove è stato ucciso Maxim, restano per il momento il destino toccato in sorte a un bimbo arrivato dalla Siberia per essere accolto nella nuova famiglia e le tante domande, su cui stanno lavorando il pm Andrea Papalia e la Mobile di Pierfrancesco Muriana, sull’adozione del piccolo. Perché Maxim è stato affidato a un papà in cura psichiatrica da anni?

Il quadro clinico dell’uomo, marito di Patrizia Silvestri, la mamma di Maxim senza più il figlioletto e con un marito in carcere da mesi, è stato illustrato dal professore bolognese che, nella 40 pagine della perizia, ha isolato «le quattro puntate di crisi» che hanno colpito l’uomo nel corso della sua vita fino all’ultima, quella definita «letale».

«Negli ultimissimi giorni il paziente era immerso in un delirio florido connotato da continue percezioni e intuizioni deliranti. Nella sua mente sconvolta», scrive Ariatti, «il gesto estremo verso Maxim diviene allora l’unica strada per sottrarre se stesso e la sua famiglia a indicibili sofferenze. In questo senso», prosegue il perito, «sta l’aspetto salvifico, altruistico del gesto, che solo la reazione della consorte e per le modalità scelte per lei dal marito interrompe». Quella notte Maravalle avrebbe infatti detto alla moglie di infilare la testa in un sacchetto di plastica, un tentativo di ucciderla non andato a buon fine. E’ stata quella del luglio 2014 la crisi più acuta che ha colpito Maravalle nel corso della sua vita. Un uomo malato da anni, affetto – per Ariatti – da «psicosi cicloide» perché, nel corso della sua vita, i periodi di malattia si sono alternati a quelli «liberi dalla malattia».

Maravalle, secondo i colloqui con il perito, è stato colpito dalle crisi nel periodo universitario, durante il soggiorno a Roma, durante il periodo milanese e, infine, «durante l’estate del 2014: data della crisi più sconvolgente». Un uomo, sempre secondo lo psichiatra, in preda ai deliri tanto da licenziarsi dal lavoro, come accadde a Roma e anche nel «2005 con un ennesimo licenziamento dal nuovo posto di lavoro negli anni milanesi». Quindi, «il punto di non ritorno», l’estate 2014. In quel periodo, secondo il perito, Maravalle nutriva «il desiderio di affrancarsi dai farmaci e la falsa convinzione che quelle medicine che fino a quel momento erano state la sua ancora di salvezza potevano essere la causa della non chiarezza dei suoi pensieri». Ed ecco che nella testa dell’uomo accade quello Ariatti chiama «il tragico ribaltamento»: il sentimento di amore verso la famiglia che si trasforma in una catastrofe. Maravalle, come disse l’uomo confessando il delitto, quella notte credeva che Maxim fosse in pericolo e «nella sua testa sconvolta il gesto estremo diviene l’unica strada per sottrarre se stesso e la sua famiglia a indicibili sofferenze». Oggi l’uomo è considerato dal medico ancora «con una quota attenuante di pericolosità che richiede cure in condizione di residenzialità e ad alta intensità terapeutica oltre che custodiale». Maravalle, aggiunge Ariatti, «è consapevole di aver commesso un reato e ha una sufficiente capacità di partecipazione cosciente al giudizio». Così, il tecnico informatico, assistito dagli avvocati Alfredo Forcillo e Giuliano Milia, potrà partecipare al processo.

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