Il pm di Pescara Andrea Papalia

Hotel Rigopiano, aperta una seconda inchiesta 

La Procura dell’Aquila indaga per disastro doloso, ma i pm di Pescara dicono no al trasferimento delle carte: respinta la richiesta di trasferimento del fascicolo

PESCARA. Resta a Pescara l’inchiesta sul disastro dell’hotel Rigopiano, che già vede sei indagati per omicidio colposo, lesioni colpose, rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Il procuratore Gennaro Varone e il pubblico ministero Andrea Papalia, della Procura di Pescara, hanno respinto l’istanza di trasferire gli atti all’Aquila, presentata una ventina di giorni fa dagli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri, difensori di due dei sei indagati, vale a dire il sindaco Ilario Lacchetta, il tecnico comunale Enrico Colangeli e del Comune stesso di Farindola.
Ma dal dispositivo in cui i due magistrati il 6 giugno motivano le ragioni di tale diniego, si legge anche che la Procura dell’Aquila ha effettivamente aperto un fascicolo per disastro doloso e omicidio colposo a carico di ignoti, sulla base dell’esposto presentato dagli stessi avvocati convinti che ci sia una responsabilità dolosa da parte di chi, negli uffici aquilani della Regione, non ha redatto - nonostante che una legge e una delibera di giunta lo imponessero - la Carta di localizzazione dei pericoli valanghivi. Lo strumento che, secondo i legali, avrebbe evitato il disastro di Rigopiano. Un’ipotesi che, sempre scorrendo le tre pagine di dispositivo della Procura di Pescara, al contrario sembrerebbe non convincere i magistrati pescaresi. Un passaggio, in particolare, lascia intendere quella che potrebbe essere la rotta della Procura pescarese. I due inquirenti la svelano quando, nel sostenere che l’inchiesta deve rimanere a Pescara perché a fronte di azioni od omissioni commesse in luoghi diversi, non fa fede il reato più grave come sostengono i difensori, ma il luogo dove è avvenuta la morte derivata da quelle omissioni, argomentano: «Anche a voler ritenere l’applicabilità del reato più grave (come sostengono i difensori di sindaco e tecnico comunale ndr) va ribadito che, non essendo mai stati ipotizzati e non apparendo in alcun modo ipotizzabili i delitti di disastro valanghivo o di crollo di edificio nella forma dolosa, il delitto più grave va individuato in quello, posto in essere nel circondario pescarese, di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro». Vale a dire, in questo caso, apparecchi o segnali, tipo cartellonistica e paravalanghe. Pena che oscilla dai tre ai dieci anni.
Una posizione su cui presumibilmente i tre difensori potrebbero già presentare ricorso alla Procura generale, chiedendo ancora che tutta l’inchiesta debba passare alla Procura dell’Aquila, ma che comunque non mancherà di creare malumori soprattutto alla vigilia dell’audizione prevista per oggi in Procura del funzionario della Regione Antonio Iovino. Dopo Sabatino Belmaggio, ascoltato per più di tre ore alla fine di maggio dal pm Papalia su richiesta, e alla presenza, degli avvocati Valentini, Tatozzi e Manieri che ne avevano fatto richiesta, questa mattina tocca infatti a quello che era il superiore di Belmaggio nel periodo in cui una delibera di giunta del 2014 imponeva al dipartimento di protezione civile regionale la realizzazione della Carta di localizzazione valanghe. Carta che, nonostante quella delibera del 2014 e nonostante la legge regionale del 1992, non è mai stata realizzata. Se non per il bacino sciistico del Gran Sasso-Prati di Tivo-Campo Imperatore, proprio in questi giorni in via di ufficializzazione ai Comuni.