I cuccioli di pastore abruzzese sopravvissuti alla valanga del 18 gennaio che distrusse il resort

Pescara

Hotel Rigopiano, e ora prefettura nel mirino

Tra le carte dell'indagine la lunga agonia di una delle vittime rimasta sotto le macerie dell'hotel dopo la valanga

PESCARA. Lo dice il suo telefono. Drammaticamente. E lo racconta l’autopsia. Tragicamente. C’è una donna, tra le 29 vittime di Rigopiano, che ha resistito ferita, dopo l’arrivo dei soccorritori, con ancora la speranza di essere tirata fuori dalle macerie e salvata.
Una donna, come il Centro ha potuto ricostruire, che ha tenuto duro circa 24 ore, dopo la valanga del 18 gennaio e che attraverso gli sms mai partiti, e ritrovati poi sul suo telefonino, attraverso quelle estreme richieste di aiuto terminate con un drammatico messaggio di addio, racconta tutto lo strazio, tutta la speranza e infine la resa di chi sta perdendo la vita per la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia di chi avrebbe dovuto e forse potuto evitarlo. E su cui adesso sta lavorando la Procura.

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Una testimonianza postuma, quella della donna, che rafforza e aggrava l’accusa di omicidio plurimo colposo e lesioni colpose ipotizzate dal procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e dal sostituto Andrea Papalia nei confronti degli attuali sei indagati, rappresentanti di Provincia, Comune e direzione dell’albergo. E, presumibilmente, anche di quelli che verranno iscritti nel registro degli indagati nelle prossime settimane e per gli stessi reati, come lasciano intendere gli inquirenti. Perché se la strada che porta all’hotel di Rigopiano fosse stata liberata per tempo e come si doveva, quella donna, almeno quella donna che non è morta sul colpo all’arrivo della valanga, forse avrebbe fatto in tempo a salvarsi. È sulla valutazione del rischio, o meglio sulla mancata valutazione del rischio che si gioca anche il secondo filone di questa inchiesta che, come riferisce il capo della Procura pescarese Tedeschini, poggia su una certezza: «La valanga era prevedibile, anche se non prevenibile. È parte della colpa è il non aver tenuto conto di questa evenienza. Perché gli avvisi c’erano». Gli avvisi sono quelli ricostruiti dagli investigatori del Nucleo carabinieri forestali e del Nucleo investigativo dei carabinieri nelle 150 pagine della loro informativa. Riempite in questi tre mesi e mezzo passati non solo ad ascoltare i testimoni, ma anche a leggere e a studiare leggi, regolamenti e determine. Per scoprire, come poi viene ricostruito nella loro relazione, che Prefettura e Provincia sapevano, o almeno dovevano sapere, che Rigopiano era a rischio valanghe. Perché questo sta scritto nelle carte. Nonostante che dal 2005 il Comune di Farindola ha smesso di riunire la sua commissione valanghe. Gli investigatori arrivano a queste conclusioni dopo la presentazione della memoria del legale di Alessio Feniello, papà di una delle 29 vittime della valanga, che a febbraio chiede di verificare quali sono i piani di emergenza in materia di protezione civile adottati dal Comune, dal Prefetto e dalla Provincia in caso di innevamento grave o valanghe, come previsto dalle leggi relative alla protezione civile.

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Sulla base di questo input, gli investigatori acquisiscono il piano di protezione civile della Prefettura, stilato nel 1993, in cui Farindola viene menzionato come comune a rischio isolamento nel caso di nevicate gravi, e poi il piano provinciale redatto nel 2004 che addirittura indica Rigopiano come comune a rischio valanghe dettando anche le modalità con le quali gestire l’eventuale emergenza. È su questi due documenti che è basata la mancata valutazione del rischio individuata dagli investigatori e che aggraverebbe la posizione della Provincia e della Prefettura. Perché quando gli investigatori vanno a verificare come sono stati attuati i due piani di emergenza, prima che si arrivasse alla tragedia del 18 gennaio scoprono, di fatto, che quei piani non sono stati attuati. In sostanza, pur avendo la Prefettura attivato il centro di coordinamento operativo dei soccorsi già il 16 gennaio, subito dopo i bollettini delle avverse condizioni meteo del 14 e 15 gennaio, non avrebbe poi attuato quanto previsto dal piano di emergenza. E a detta degli investigatori, non è solo la Prefettura che non dà seguito a quanto previsto dal piano dell’emergenza, perché anche la Provincia non attiva il suo. E i due enti non agiscono neanche di concerto. Tutto questo mentre la mattina del 17 gennaio, in piena emergenza maltempo, il capocantoniere della Provincia incaricato di controllare proprio il tratto che da Farindola porta a Rigopiano scrive sulla chat istituita per l’emergenza dicendo ai responsabili dell’ente che all’hotel Rigopiano sono in difficoltà e che «all’occorrenza», se nevica ancora, «non c’è la turbina». Che è rotta dal 6 gennaio.

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Poche ore dopo, alle 14 della stessa giornata, arriva poi il bollettino Meteomont diramato online dal centro funzionale della protezione civile dell’Aquila che avverte la Prefettura di Pescara, e la Provincia, che a Rigopiano e a Sant’Eufemia a Maiella il rischio valanghe è a livello 4. Rischio alto. Due località a rischio, e non solo Rigopiano dunque, che avrebbero dovuto far scattare l’allarme a livello provinciale, e a gestirlo avrebbe dovuto essere la Prefettura. Lo stabilisce la Regione nella delibera del 2013 in cui assegna e distribuisce le competenze in caso di rischio valanghe. E che alla Prefettura assegna, prima ancora del coordinamento delle operazioni di soccorso, l’emanazione dello stato di preallarme, allarme o emergenza su scala provinciale. Ma secondo quanto ricostruiscono gli investigatori, per Rigopiano quell’allarme non è scattato. E come se non bastasse, a motivare la mancata valutazione del rischio su cui stanno lavorando gli investigatori, c’è un’altra segnalazione che arriva ai responsabili della Provincia la mattina del 18 gennaio. È il messaggio che due addetti agli spazzaneve mandano al capocantoniere, indicandogli, con una foto via whatsapp, che c’è un muro di neve e gli spazzaneve non possono andare avanti. Sono bloccati al bivio che sale a Rigpiano. «Qui non si va avanti, serve la turbina». Il capocantoniere informa i superiori. Ma la turbina non arriva.

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