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Hotel Rigopiano: «Rabbia e lacrime. Una strage evitabile»

I parenti delle vittime gridano il loro dolore durante il flash mob organizzato in piazza Salotto: ora dateci giustizia

PESCARA. I nomi dei morti di Rigopiano scritti con i gessetti sul pavimento di piazza Salotto; un girotondo per chiedere «giustizia»; la corsa liberatoria dei bambini come se fosse l’arrivo di una valanga che non fa male; uno striscione per gridare «uniti dallo stesso dolore»; il volo delle colombe. Traspare candore dalle immagini della manifestazione di ieri in ricordo delle 29 vittime della valanga di Rigopiano. Ma, a tre mesi dalla tragedia, nell’animo dei parenti delle vittime resta la rabbia.

«Sì c’è rabbia, c’è tanta rabbia. E dopo tre mesi è sempre peggio. Ci sono giorni in cui il dolore non si può contenere», dice Davide Giancaterino, il fidanzato di Linda Salzetta, la cameriera di Farindola morta sotto le macerie dell’albergo. Stringe la sua foto con tutte e due le mani: si sarebbero dovuti sposare il 7 maggio prossimo. «E invece no», dice, «siamo sempre più consapevoli che chi di dovere non ha fatto il proprio dovere. Tutto questo si poteva e si doveva evitare».

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Anche Nicola Colangeli, papà di Marinella, la responsabile del centro benessere, stringe la foto della figlia che non c’è più: «Ogni giorno è più triste», dice, «mia figlia viveva con noi e per noi ogni sera, quando tornava a casa, era una festa. Adesso, invece, non torna più ed è sempre un dolore. C’è tanta rabbia perché bastava poco per salvarli: una turbina sarebbe stata sufficiente a sgomberare la strada dalla neve. Ora, vogliamo solo giustizia. A Farindola non abbiamo visto un politico a portarci una parola di conforto», accusa Colangeli, «siamo abbandonati e il paese è morto insieme a quelle 29 persone. Prima, ogni domenica, nella mia rivendita di giornali, era un via vai di persone che chiedevano dove si trovava l’hotel Rigopiano. Adesso, non è rimasto più niente».

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Cristina è la mamma di Luana Biferi, l’aiuto cuoco di Bisenti appassionata di calcio: «Era una Trepolmoni, come la chiamava il suo allenatore, perché correva tanto», racconta, «amava il calcio e amava tanto cucinare. Quell’albergo era la sua seconda casa e tra i dipendenti, tutti giovani, c’era un bel clima di amicizia». Quel 18 gennaio, tra neve e terremoto, Luana chiedeva informazioni via Facebook sui suoi familiari a Bisenti: «Era preoccupata per noi mentre lei era in pericolo», dice la mamma, «fa rabbia che l’unico albergo della zona sia stato abbandonato: è possibile che non era disponibile neanche un mezzo per pulire la strada? Io non riesco ancora a crederci».

Silvia Angelozzi è la sorella di Sara, un’altra vittima della valanga con il marito Claudio Baldini: insieme all’avvocato che assiste la famiglia, Wania Della Vigna, Silvia è andata tra le macerie di Rigopiano. «Ho camminato dentro un albergo che non c’è più in un silenzio irreale», racconta, «ora mi auguro che l’indagine prosegua e mi auguro di poter continuare a credere ancora nella giustizia italiana: arriverà la verità».

«Una manifestazione toccante», dice Gianluca Tanda, il fratello del pilota Marco morto insieme alla fidanzata di Vasto, Jessica Tinari. Tra la gente anche il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, il sindaco di Pescara Marco Alessandrini, il vice Antonio Blasioli e il presidente del consiglio comunale Francesco Pagnanelli. «Il sindaco Lacchetta ha avuto il coraggio di scendere in piazza con noi e ci ha fatto piacere», commenta Tanda, «ci aspettavamo anche altre presenze ma non ci sono state». Su questo, Mario Tinari, che ha perso la figlia Jessica, dice: «Quelli che non c’erano forse hanno la coda di paglia». È un riferimento alla Provincia di Pescara: la strada Farindola-Rigopiano sommersa dalla neve è di competenza della Provincia. «A Rigopiano ho perso due figli», dice riferendosi a Jessica e al fidanzato, «e sono stato anche danneggiato: ho dovuto riportarla a casa con i nostri soldi e chi ha causato questa tragedia non ha pagato».

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