Hotel Rigopiano: «Segnalai i pericoli, mi ignorarono tutti»

Pasquale Iannetti, guida alpina, partecipò alla commissione Valanghe di Farindola. «La Regione non censì le aree a rischio e il Comune rilasciò i permessi per i lavori»

PESCARA. Un’omissione della Regione lunga 25 anni. Perché se la Regione avesse censito i siti abruzzesi a rischio valanghe, come ordinava una legge del 1992, forse sarebbe finita diversamente all’Hotel Rigopiano, il paradiso diventato una tomba per 29 persone dopo la valanga del 18 gennaio scorso. Lo dice Pasquale Iannetti, la guida alpina che per prima lanciò l’allarme slavine a Rigopiano nel 1999. Un allarme messo nero su bianco in un verbale della commissione comunale Valanghe di Farindola ma rimasto ignorato.

Talmente ignorato che, dal 2005, la commissione si sciolse senza motivo: «Perché? Non lo so, non ne ho la più pallida idea», dice Iannetti. Poi, nel 2008, il Comune ha dato il via libera ai lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’Hotel Rigopiano con la costruzione del centro benessere e di altri due edifici in legno accanto allo storico stabile centrale. «Ma il Comune, senza la Carta del rischio valanghe della Regione, non aveva in mano gli elementi necessari per dire no a quei lavori», dice l’esperto di montagna.

Dopo un sopralluogo del 1999, lei segnalò il pericolo di valanghe a Rigopiano: sono passati quasi vent’anni, cosa ricorda?

«I Comuni montani a rischio slavine sono tenuti per legge a dotarsi di una commissione Valanghe formata dal sindaco o da un suo delegato, dal comandante della stazione locale della forestale e da un membro del collegio delle guide alpine. Una terna che si riunisce ogni qualvolta il sindaco lo ritenga opportuno, per esempio quando si verificano condizioni di neve esagerata. Nel 1999 questa commissione fu istituita a Farindola: facemmo una serie di rilevamenti e andammo anche in volo con un elicottero su Rigopiano – ricordo che c’era anche il coordinatore del Soccorso alpino di Penne Antonio Crocetta – per valutare la consistenza del manto nevoso del costone del Monte Siella che si affaccia sulla strada per Vado di Sole. L’unico interesse del Comune era valutare se tenere aperta o chiusa quella strada che porta a Campo Imperatore. Ma io feci una relazione e segnalai la pericolosità di dissesti e valanghe».

E il suo allarme fu raccolto?

«È stato tranquillamente ignorato: nessuno si rendeva conto di trovarsi in una zona a rischio valanghe. Ma le valanghe non avvisano e, per la zona di Vado di Sole, slavine di modeste dimensioni avrebbero potuto travolgere anche le auto in transito».

E per la zona dell’Hotel Rigopiano?

«Scrissi che una zona a rischio avrebbe potuto essere quella vicina al rifugio Acerbo, poco più su dell’albergo: all’epoca, nei pressi c’era un campeggio e l’hotel non era stato ancora ristrutturato. Con la mia segnalazione invitai a tenere sotto osservazione proprio quell’area in quanto l’unica con luoghi di aggregazione per persone».

E perché dal 2005 la commissione non si riunì più?

«Non lo so e non ne ho la più pallida idea. Io, però, mi defilai quasi subito: dopo i primi sopralluoghi, mandai la relazione e, nella parte finale, chiesi al Comune di farmi sapere come avrebbero voluto regolare il mio rapporto di lavoro. Ma il Comune non rispondeva. E alla fine, per avere il pagamento di una fattura da circa un milione e 200 mila lire, dovetti rivolgermi al giudice di pace di Penne fino all’emissione di un decreto ingiuntivo».

Nel 2008, ormai senza più commissione, l’albergo è stato ampliato: alla luce dei suoi rilievi, è stato giusto concedere i permessi?

«Quando fu costruito l’albergo, nel 1967, non c’era tanta attenzione al territorio e, sicuramente, un’impresa turistica fu accolta con un benvenuto. Invece, nel 2008, quando sono stati autorizzati i lavori di ristrutturazione e ampliamento, la Regione avrebbe dovuto avere già pronta la Carta del rischio valanghe come imponeva una legge del 1992».

Su questo fronte, agli atti dell’inchiesta c’è anche un esposto del Forum H2O che parla di un’«omissione» lunga 25 anni: perché è importante la mancanza di questo documento della Regione?

«Nonostante la legge del 1992, ad oggi, la Regione non ha ancora approvato la Carta del rischio valanghe. E la mancanza di questo documento importantissimo ha provocato il fatto che, nel 2007, il Comune non avesse in mano gli elementi necessari per dire di no a quei lavori. Se la Carta della Regione avesse detto che Rigopiano era una zona a rischio, forse, sarebbe andata diversamente ed è anche possibile che quei lavori non sarebbero stati permessi. Invece, senza la Carta del rischio valanghe, che non è stata ancora approvata, i permessi del 2007 risultano in regola».

Ma si poteva prevedere la valanga che ha distrutto l’hotel come un castello di carte?

«Una valanga di quella portata era imprevedibile. Si sono verificate troppe concause come l’enorme massa di neve caduta in pochi giorni e le tre scosse di terremoto della mattina del 18 gennaio».

In base ai suoi allarmi, la faggeta avrebbe potuto rallentare la forza delle slavine, invece, a Rigopiano è stato travolto tutto.

«Quando si scioglierà la neve si dovrà analizzare a fondo la zona. Se fosse stato tagliato il bosco nell’area in cui è scesa la valanga, sarebbe stata una cosa sbagliata».

Si è parlato di una valanga nello stesso posto nel 1936: le risulta?

«Non conosco questo episodio. Ricordo che, in un sopralluogo, un pastore mi raccontò che in quella zona c’era stata una valanga nel 1956, anno di una nevicata apocalittica. La storia insegna che ci sono momenti in cui le precipitazioni nevose sono forti e altri in cui sono deboli. Ma le concause della valanga del 18 gennaio erano imprevedibili. E poi, tra le altre cose, bisogna tenere presente anche la superficie di scorrimento: l’erba non tagliata avrebbe potuto alimentare l’effetto scivolamento. L’erba del costone tra il Monte Siella e il vado Siella sicuramente non viene più “tagliata” perché non ci sono più le greggi che pascolano o, comunque, se ancora ci fossero non basterebbero».

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