I re del pesce fresco in mare da una vita

I pescatori si raccontano: tutti i giorni al lavoro per riempire le scafette tra mille pericoli e guadagni sempre più bassi

MONTESILVANO. Mani forti e consumate dal lavoro, pelle arsa dal sole e dalla salsedine, mille dolori causati dall’umidità e una grande passione per il mare. Sono queste le caratteristiche che accomunano i pescatori di Montesilvano, 12 in totale, che da generazioni trascorrono le giornate tra le acque dell’Adriatico e la sabbia di via Aldo Moro. Giorni, mesi, anni scanditi dai ritmi delle stagioni e del mare di cui i marinai, soprattutto i più anziani, conoscono perfettamente profondità e segreti. Un legame forte e indissolubile che tentano di nascondere dietro poche parole ma che rivelano inconsapevolmente in ogni gesto delle loro mani e nell’intensità dei loro occhi in cui conservano i ricordi più felici ma anche le immense tragedie di cui il mare è capace.

Tra di loro c’è Vittorio Di Blasio, montesilvanese doc, 70 anni di cui oltre 55 passati in mare, che in poche frasi racchiude una vita fatta di sacrifici e passione. «Mio padre era marinaio ma non voleva che noi 5 figli seguissimo le sue orme», racconta, «invece io e uno dei miei fratelli amavamo il mare e non è riuscito a fermarci. Oggi lui si è fermato perché il mare l’ha distrutto fisicamente mentre io continuo fino a che avrò forza». Tanti i ricordi del marinaio, i momenti duri «quando il mare ti porta via le reti», ma anche qualche soddisfazione come quella di aver salvato la vita, quarant’anni fa, a 3 turisti che stavano annegando. Di Blasio ricorda anche come siano cambiati i tempi e confessa che mai i suoi figli avrebbero intrapreso questo mestiere: «Prima c’era il pesce ma non c’era nessuno a comprarlo, ora è il contrario», spiega concludendo con un’ultima osservazione in dialetto: «Non ci sem arricchit ma manco ci sem mort».

Ad aver trascorso tutta la vita in mare è anche Mario Di Pietropaolo, montesilvanese, «marinaio da 3 generazioni» come rivela con orgoglio, e vicepresidente dell’associazione Piccola pesca Bora. «Ognuno nasce con il suo dna», spiega, «e il destino ha voluto che a 14 anni, mentre facevo l’idraulico, mio padre, che voleva per me un lavoro diverso dal suo, morì costringendomi a diventare marinaio». Il pescatore ricostruisce i tanti anni passati in mare, i pochi soldi e uno zio che fingeva il rumore del motore sulla loro piccola barca a remi, e poi la prima imbarcazione a motore «appena 8 cavalli ma a me sembrava una nave». E ancora la paura, le libecciate e quella volta che, negli anni ’80, il mare portò via due pescatori di Montesilvano. Di Blasio, infine, punta il dito contro la Regione spiegando che a causa del mancato piano delle anguille, da due anni sono costretti a rinunciare ad una pesca fondamentale in autunno.

A Montesilvano c’è anche chi è diventato pescatore per caso, come il genero di Di Blasio, Emiliano Sagazio prima elettricista, poi disoccupato e ora, da 6 anni, marinaio. E infine c’è chi, pur avendo visto la morte in faccia, è tornato tra le onde come Girmay Teklay, o per comodità Salvatore, eritreo e da 4 anni in Italia che nell’agosto dello scorso anno fu coinvolto nel naufragio in cui perse la vita l’armatore pescarese Cristian Dell’Osa. Il 26enne oggi lavora a Montesilvano e timidamente confessa: «Questo lavoro mi piace e il mare non mi fa paura».

Antonella Luccitti

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