L’INTERVENTO

Il Ciattè d'oro e il poliziotto

E' una brutta pagina quella che Pescara ha scritto nel giorno della festa del patrono. Povero San Cetteo, merita un altro spettacolo per il suo onomastico. Disertare la consegna del premio Ciattè d'oro non è stata una mossa azzeccata. Pd, Pdl e tutti quelli che hanno lasciato vuoti i banchi della sala consiliare hanno sbagliato.

La scelta di premiare Nicola Zupo, capo della squadra mobile di Pescara, ha scatenato un putiferio. Fatto grave. Anche chi l'ha proposto poteva farne a meno, il sospetto che sia stata organizzata una maliziosa provocazione è forte. Zupo è un investigatore, ha condotto inchieste importanti contro la corruzione coinvolgendo politici, imprenditori, dirigenti pubblici e privati. Inchieste che hanno portato agli arresti sindaci importanti, amati e popolari, come Cantagallo e D'Alfonso; o personaggi di spicco come l'assessore regionale alla sanità, Lanfranco Venturoni. Ma Zupo ha guidato i suoi uomini anche contro i clan della droga, entrando all'alba nelle loro case in un clima ostile e di grandi rischi personali. Ha arrestato rapinatori e personaggi pericolosi. Com'è la storia? Se si va a Rancitelli o a Zanni si è eroi, mentre se si entra nei segreti dei palazzi della politica no?

Per rispetto del suo lavoro e della persona, non andava coinvolto in questa diatriba politica che ha spaccato la città nel giorno della festa. Ma non è solo questo il punto. La scelta di un premio richiede una discussione, spesso divergenze. Capita per quelli piccoli come per gli Oscar, i Leone d'Oro, persino per i Nobel. È normale. Quello che non va giù è l'esibizione del dissenso dopo, il mancato rispetto della riservatezza di una scelta avvenuta in una stanza tra pochi giurati. Non è una cosa seria: una volta che il verdetto è stato emesso, tutte le chiacchiere dovrebbero tacere. Questione di buon gusto.

Così non è stato, con il risultato di esporre Pescara a una pessima figura e di creare imbarazzo anche tra i destinatari del premio, alcuni dei quali artisti di fama internazionale che non meritano lo spettacolo desolante dei banchi vuoti e dei veleni.

Contestare l'assegnazione di un premio a chi indossa una divisa non fa parte della tradizione delle forze democratiche. Farlo all'indomani della strage di alpini in Afghanistan, con un soldato abruzzese scampato alla morte, lascia interdetti e senza parole. Che messaggio arriva ai ragazzi in divisa che nel mondo affrontano ogni giorno il terrore della guerra con davanti un nemico vero? Queste baruffe non aiutano i soldati a capire meglio il senso della loro missione quando sono lì - come ha scritto il caporale Cornacchia - a 50 gradi all'ombra e con un deserto di sabbia che taglia l'orizzonte. E con che spirito gli uomini delle forze dell'ordine vanno in servizio la notte dopo questa delegittimazione di uno dei dirigenti più importanti?

Chi è stato arrestato da Zupo dovrà essere giudicato dalla magistratura. Quando ci saranno le sentenze sapremo se sia stata violata la legge o se invece sia stato preso un abbaglio. Ma perché prendersela con Zupo e personalizzare in maniera plateale il disappunto per le indagini? Lui è un investigatore, ha il compito di indagare, raccogliere prove, scoprire reati, arrestare gli autori. È il suo mestiere, il suo lavoro non dipende dall'esito delle sentenze. Imitare l'esternazione del senatore Pastore che attacca la magistratura quando arresta qualcuno del centrodestra e la elogia se nei guai finisce D'Alfonso è una scelta assurda e senza sbocchi. Non si può essere garantisti a giorni alterni. Il premio Ciattè d'oro dovrebbe essere un momento di raccolta e di identità di Pescara, invece domenica c'è stato il solito teatrino della pochezza dei politici. I pescaresi meritano altro.

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